11
luglio 2013, Sarajevo. È l'ultima notte qui, ma ho un'adrenalina in
corpo che non mi farà dormire. Samra gironzola per la stanza,
facendo zapping in Tv. Tutte le emittenti trasmettono resoconti della
giornata di oggi o film e storie che raccontano il massacro di Srebrenica. Dormiamo in un piccolo hotel –
qualche vicolo sopra la Baščaršija – che dà sul cimitero
all'ombra di un minareto. Samra scherza: «Mia zia direbbe che
abbiamo una vista sul futuro».
30 ottobre 2013
7 ottobre 2013
La Bosnia e il miraggio dell'Europa
Le
ultime chiacchiere con Emir
riguardano il futuro della Bosnia. Parliamo del recente ingresso
della Croazia nella Comunità europea e Renzo scherza chiedendo a
quando toccherà alla Bosnia. E così, in un'atmosfera conviviale, si
azzarda una previsione sulla Serbia per il 2030. Ma per la Bosnia,
Emir alza le braccia. Di certo l'obiettivo dell'adesione è tra i
desiderata di questa Regione congelata da un'impasse governativa, ma
il nostro compagno di viaggio spiega che a oggi sono stati firmati
solo «gli accordi
di stabilizzazione e associazione con l’Unione europea». Per Emir
è il primo passo formale verso l’integrazione, ma la Bosnia
Erzegovina, dice, non è ancora pronta per presentare la domanda.
4 ottobre 2013
Francis e Vivien, venuti dal mare. Una storia recente
Le mamme su quelle bagnarole incagliate a Lampedusa e i bimbi piccoli in braccio sono state spesso un punto di domanda per me. Non temevano per i loro figli neonati? La risposta me l'hanno data Francis e Vivien qualche anno fa...
«La gente ci diceva che eravamo matti a partire con un bambino così piccolo: arrivavano nel porto libico barconi pieni di cadaveri. Alle nostre spalle Tripoli in subbuglio. Avevamo morti davanti e morti dietro. Abbiamo deciso di andare avanti, a costo di sacrificarci».
26 settembre 2013
Emir, dalla parte della Bosnia
2 settembre 2013
Il caseificio targato Emmaus nel cuore della Bosnia
di Maria Vittoria Adami, da L'Arena
15 agosto 2013
DOBOJ ISTOK (BOSNIA). Da una terrazza sulla valle verde di Doboj (Bosnia), tra covoni di paglia e tetti rossi dai quali svettano i minareti, si sentono i rumori del camioncino del latte. Ha fatto il giro tra le piccole fattorie della zona. Nel caseificio ronzano macchinari e frigoriferi dove sono stoccati formaggi, creme e yogurt con il brioso logo di una mucca che ride sotto la scritta «Bosna».
23 agosto 2013
Cartolina dall'Egitto
«L'aeroporto
era surreale. Una bolla fuori dal mondo e dal tempo». Luca Cavagna,
villafranchese di 35 anni, è appena tornato da un viaggio in
Tanzania. Lunedì era al Cairo, per prendere il volo verso Milano. E
ha trovato il deserto tra terminal e gate.
Partito il
4 agosto e tornato il 19, è stato in Tanzania con altri ragazzi
proprio mentre in Egitto si accendevano gli scontri tra sostenitori e
oppositori del governo Morsi, in un paese in preda alla guerra
civile.
15 agosto 2013
Donne a Potočari
Le unghie richiamano il colore del
velo. Gli occhiali da sole sono inclinati a fermare il foulard in
modalità «ricercatamente casuale». Perline e corallini costellano
tessuti leggeri o pregiati, sete o garze, variopinte o monocolore.
Occhi truccati, sopraccigli arcuati, sguardi profondi e volti tirati
ma non meno aggraziati. Entrando al Memorial center di Potočari, in
quell'apnea di preghiera e dolore, non posso fare a meno di notare
quanta femminilità ci sia in quel brulicare di giovani donne, che nulla lasciano al caso.
11 agosto 2013
11 luglio a Srebrenica
Alle 8 del mattino, già ci si può fare un'idea di quello che accadrà in poche ore al Memorial center di Potočari: ogni anno, l'11 luglio, si ricorda il
genocidio musulmano di Srebrenica con un accorato e suggestivo funerale collettivo.
E ogni anno sono sepolti i corpi riesumati dalle fosse comuni alla fine della guerra, riconosciuti nell'arco degli ultimi 12 mesi, grazie alle prove del
Dna effettuate a Tuzla. Quest'anno saranno 409.
7 agosto 2013
Potočari, 18 anni dopo
30 luglio 2013
Lejla e la guerra
Dormo in una grande stanza col tetto
spiovente, nella comunità Emmaus di Leptir. Le temperature si sono
abbassate di colpo. Lancio l'ultimo sguardo al prato col covone di
paglia che vedo dalla finestra: un quadro bucolico. Ma il sottofondo
musicale è quello del muezzin. L'ultima volta che l'ho sentito è
stato in una camera che si affacciava a uno dei polverosi von di
Cotonou, in Benin. E ancora sorrido di questo contrasto geografico.
C'è ramadan in questi giorni. È il 9
luglio. Alcuni nostri compagni di tavola hanno atteso il tramonto del
sole per iniziare a mangiare. Lejla no. Dice che, d'estate, non
mangiare per tutto il giorno può anche andarle bene, ma non ce la fa a non bere. Lejla ha 24 anni; indossa un camicione color
ottanio portato sui leggings neri, come vuole la moda oggi, e le
ballerine pendant. Mi stringe forte la mano quando ci presentiamo. E
si siede a cena quasi di fronte a me. Ha un bel caratterino grintoso
e mi racconta un sacco di cose interessanti.
29 luglio 2013
Slavonski Brod, ingresso nei Balcani
Il pulmino rallenta davanti alla
tettoia blu. Una giovane donna in divisa azzurra mi dice di non
fotografare. Deve aver visto che sono aggrappata alla Nikon come
fosse un orsacchiotto di peluche. Ma la mia è solo emozione.
Slavonski Brod è il mio passaggio nel cuore dei Balcani e il mio di
cuore sta per avere un sussulto. Attendo questo momento non so da
quando e non so neppure perché. È un'attesa innata. Dovevo venirci
qui. Dovevo vedere la Bosnia. E quando il pulmino solca il ponte
sulla Sava (il fiume che scorre
sul confine con la Croazia) che ci apre il varco su questa
terra, mi sento abbracciare. Scintilla l'acqua del fiume
all'imbrunire. Ho passato il posto di blocco, posso fotografare ma
ancora mi sento intimorita
e scatto qualche frammento al volo, di corsa, quasi rubandolo.
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