di Maria Vittoria Adami, da L'Arena
15 agosto 2013
DOBOJ ISTOK (BOSNIA). Da una terrazza sulla valle verde di Doboj (Bosnia), tra covoni di paglia e tetti rossi dai quali svettano i minareti, si sentono i rumori del camioncino del latte. Ha fatto il giro tra le piccole fattorie della zona. Nel caseificio ronzano macchinari e frigoriferi dove sono stoccati formaggi, creme e yogurt con il brioso logo di una mucca che ride sotto la scritta «Bosna».
Qui, dieci anni fa, Villafranca ha messo un piccolo seme. Quel seme è diventato un caseificio che compra il latte da un centinaio di famiglie del posto e impiega una decina di addetti, dove la guerra degli anni Novanta aveva falcidiato il bestiame e arenato la vita della popolazione. Sulla porta d´ingresso c´è una targa con la scritta «Emmaus Villafranca». E racconta una storia cominciata quando la comunità villafranchese di Renzo Fior decise di aiutare quella bosniaca: il Forum internazionale di solidarietà. Il gruppo, con sede a Doboj Istok, la parte musulmana di Doboj nella regione serba della Bosnia, aveva un ambizioso progetto: riutilizzare l´ex campo profughi per kossovari, sulle alture sopra la cittadina, come centro per persone in difficoltà, quali anziani, disabili, malati psichici (oggi è la cittadella di Duje).
Vicino c´erano anche una vecchia casa
e un terreno. Da qui partì la comunità di Fior, portando, nel 2002,
una squadra di esperti e di possibili finanziatori, per capire quali
attività si potevano avviare. Tra loro c´erano i villafranchesi
Enzo Corazzina, dottore in agraria, l´agronomo Giovanni Rigo e il
casaro Gian Maria Cordioli. Nacque l´idea di dar vita a un frutteto,
a un caseificio e alla coltivazione di ortaggi, verdure e piccoli
frutti, anche utilizzando le serre. Emmaus Villafranca si mobilitò
per raccogliere fondi, attraverso donazioni e un finanziamento della
Cariverona.
Acquistò i primi macchinari (le celle
frigo portano la firma di un noto rivenditore villafranchese) e il
caseificio di Duje mosse i primi passi.
Nel 2004, «sfornò» due tipi di
formaggi. Nei giorni scorsi, una delegazione di Emmaus Villafranca è
tornata per valutare l´avanzamento dei lavori. Il caseificio ha
fatto passi da gigante: punta a lavorare circa 2000 litri di latte al
giorno e produce cinque tipologie di formaggio, crema e yogurt.
Lavora per commesse, vendendo a clienti specifici e alle fabbriche
dei dintorni, che li utilizzano in mensa per gli operai. Con i
proventi si mantiene e finanzia la cittadella. «Il caseificio è un
progetto che ha un futuro», spiega Hamzalija Okanovich, direttore
del Forum. «Dà lavoro anche a chi ha solo una mucca e ci vende il
latte. Con la guerra i contadini hanno perso molti capi, rimanendo
talvolta con uno o due animali. Utilizzavano il latte solo per il
consumo familiare. Oggi diamo un´occasione di reddito a un centinaio
di famiglie e a dieci dipendenti. Ricaviamo anche un utile per
restituire il credito a Banca etica». Dopo il primo finanziamento di
Villafranca (circa 50mila euro) il caseificio si è ingrandito. Ha
acquistato i mezzi per la raccolta del latte e macchinari, accendendo
un mutuo di 270mila euro. Non può ancora aprire uno spaccio, poiché
la normativa non lo prevede per le organizzazioni non governative. Ma
ci spera. «È difficile adattare la nostra attività alle norme
statali, ma oggi è già più facile di cinque anni fa».
Il villaggio di Duje (nella foto)
Quando gli ultimi profughi kossovari e
macedoni se ne andarono, rimase un villaggio di casupole tutte
uguali, in grado di ospitare molte persone. Oggi il centro di Duje è
una cittadella di 11 blocchi colorati, con ambulatori medici, centro
diurno per disabili, scuola per minori, mensa, orto, serre,
biblioteca, forno e palestra per la riabilitazione. È il piccolo
miracolo del Forum internazionale della solidarietà: l'Emmaus
bosniaco. Nel 1999 il gruppo chiese aiuto alle altre comunità
d'Europa e cominciò la ricostruzione del campo. Nel 2004 il centro
di Duje fu pronto per ospitare persone deboli, anziani soli e senza
famiglia, disabili, malati psichici, minori con problemi di diversa
natura. Per ciascuno di loro c'è un padiglione apposito e nel
centro vivono, dormono, fanno attività ricreative che vanno
dall'occupazione artistica a quella nell'orto, a seconda delle loro
capacità o dei loro interessi.
C'è un po´ di Italia e di
Europa anche qui. Zucchine, cetrioli, pomodori e patate sono prodotti
a tonnellate sotto tremila metri quadrati di serre provenienti da
Albenga. La comunità Emmaus ligure le ha procurate, il gruppo
bosniaco è andato a prendersele, aiutato nelle pratiche di frontiera
dalla comunità di Cuneo. Diversi dentisti villafranchesi hanno
prestato servizio per alcune settimane nell´ambulatorio donato dagli
olandesi. Mentre chi ha avuto un infortunio fa riabilitazione nel
padiglione dedicato a «Viviana Manenti», finanziato da un italiano
in ricordo della figlia.
Le persone, quattrocento in tutto inviate
perlopiù dai servizi sociali, sono divise in blocchi in base alla
diagnosi e sono seguite da una settantina di infermieri e un'equipe
di medici, psicologici, assistenti sociali e terapisti. E ancora
cuochi e inservienti, per un totale di 250 dipendenti che si prendono
cura di musulmani, ortodossi, cattolici, serbi, croati, bosniaci:
persone di tutta la Bosnia.
Il centro è una piccola cittadella che
si finanzia in parte da sé e con donazioni e in parte con il
sostegno dello Stato. Porta in tavola le verdure dell´orto, coltiva
fragole per trasformarle in marmellate, ha un forno per fare il pane.
E poi c´è il caseificio a fianco. Prossimo obiettivo: un
allevamento di polli.
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