Un libro per tutti, ora
reperibile in libreria e in biblioteca, in tutta Italia. La storia
del colonnello Giovanni Fincato (Enego 1891 – Verona 1944) è
diventata ufficialmente un volume, Giovanni Fincato. Un alpino tra
due guerre mondiali edito da Cierre lo scorso dicembre col patrocinio dell'Istituto per la storia
della Resistenza e dell'età contemporanea di Verona, presieduto da Stefano Biguzzi che ne ha curato la
prefazione.
Le memorie, scritte dal
figlio, il generale Lucio Alberto Fincato,
scomparso circa un anno fa, erano state pubblicate in un
libello rivolto a un circuito privato, per essere donato, ma mai
avevano superato il confine editoriale che l'Istituto ha invece
voluto valicare: «Con questa pubblicazione», spiega Biguzzi,
«Fincato entra nella storia di Verona e d'Italia. Il progetto è
quello di recuperare le vite delle tredici medaglie d'oro della
Resistenza della città, e la figura di Fincato è tra le più belle
e gloriose. Con il figlio Lucio si era parlato di far diventare la
sua storia patrimonio comune offrendola al grande pubblico come
presidio della memoria resistenziale veronese e come stimolo a
mantenerne sempre vivo il ricordo. E quando Lucio è mancato,
quell’auspicio è diventato un impegno inderogabile che ora, grazie
al decisivo contributo della famiglia, e col patrocinio
dell’Istituto, vede la sua realizzazione. Nessun anno meglio del
2015, centenario del primo conflitto mondiale e settantesimo della
Liberazione, poteva più opportunamente ospitare la ristampa».
La vita del colonnello
Fincato salda, infatti, in una sola esistenza questi due eventi: fu
militare sul fronte della Grande guerra, dal Carso agli Altipiani
vicentini (tre medaglie d'argento al valor militare), e fiero combattente
a Verona per liberare, dopo l'8 settembre 1943, dagli invasori
tedeschi e dai repubblichini una nazione portata alla catastrofe dal
fascismo.
Una lapide in piazzetta
Martiri della libertà ricorda il tragico martirio del colonnello
alpino, morto, lasciando una vedova e sei figli, il 6 ottobre 1944
per mano di italiani dell'ufficio di polizia fascista che dopo 16 ore
di torture gettarono il corpo di Fincato nelle acque dell'Adige a
Pescantina, negandogli la sepoltura.
Fu un rito antropofago: i
fascisti assassinarono un pluridecorato della Grande guerra, sul mito
della quale proprio il Ventennio aveva costruito la retorica e i
valori di eroismo e virtù. Fincato, durante quell'«interrogatorio»,
non rivelò alcun nome di compagni di lotta, onorando fino alla fine
i principi forgiati dalle trincee: l'onestà, la solidarietà, la
fratellanza, tipiche del corpo degli Alpini, e quel vedere i tedeschi
in casa come il nemico che quasi trent'anni prima aveva combattuto
per definire i confini della Patria.
«È un legame da non
sottovalutare questo», continua Biguzzi, «per comprendere la scelta
che molti ufficiali reduci della Grande Guerra fecero dopo l’8
settembre, motivata dalla volontà di non tradire il giuramento di
fedeltà al re, ma da leggere anche attraverso il cortocircuito che
dovettero vivere quei soldati, vittoriosi nel 1918 contro l’impero
asburgico, ovvero contro quelli che per semplificare, venivano
chiamati i “tedeschi”, e costretti venticinque anni dopo a vedere
gli stessi tedeschi violare i confini di un’Italia prostrata e
annichilita strappandole le terre costate la vita di tanti fratelli».
Nato a Enego,
sull'altipiano di Asiago, dopo la Grande guerra, Fincato intraprese
la carriera militare che lo portò a intrecciarsi sempre con Verona:
qui fece servizio militare nel Sesto reggimento Alpini di Verona,
lavorò e trovò la morte.
Il volume traccia un
ritratto di lui essenziale e asciutto, mai retorico, rendendo nella
sua grandezza il profilo di un alpino, di un italiano che seppe
interpretare in maniera alta il senso del dovere. «Da queste
pagine», conclude Biguzzi, «Fincato ci parla con la forza
dell’esempio, ricordandoci il prezzo della libertà e il debito che
abbiamo verso chi ce l’ha restituita e affidata. Questo debito
Lucio l’ha onorato splendidamente, per l’uomo, il cittadino e il
soldato che è stato, e per come ha saputo essere testimone dei
valori democratici fondanti la repubblica nata dalla Resistenza».
Maria Vittoria Adami
L'Arena, 9 gennaio 2016
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