Poco distante dagli zampilli
d'acqua che convergono fluttuando nella fontana delle 99 cannelle,
simbolo dell'unità cui aspira a tornare la città, e oltre la
chiesolina di San Vito, del Borgo Rivera, l'ex Mattatoio degli anni
Trenta ha trovato una nuova funzione: è il Museo nazionale d'Abruzzo
(Munda), inaugurato a Natale dal ministro alla Cultura Dario
Franceschini e visitato da tremila persone in sette giorni.
Nell'edificio di archeologia industriale, oggi restaurato e
antisismico, splendono le madonne lignee del XII secolo e le pale di
Francesco da Montereale e Saturnino Gatti, con i reperti delle
necropoli abruzzesi dell'ottavo secolo a.C.
Centoventi opere in tutto, molte
salvate – seppur danneggiate – dalle macerie o trasferite dal
museo della Fortezza spagnola tuttora in restauro. L'Aquila
ricomincia da qui.
Il Munda e dietro le gru di L'Aquila |
Rinasce, seppur a fatica, dai luoghi della sua
identità: la piazza delle 99 cannelle, la basilica di Santa Maria di
Collemaggio o la chiesa di San Bernardino che nel loro splendore
ritrovato si ergono gonfie d'orgoglio nella foresta di gru che
tuttora avvolge la città ferita, stravolta dal terremoto del 6
aprile del 2009.
C'è odore di cantiere, polvere e
calce, per le strade del centro che sono ancora – per la maggior
parte – gallerie di tubi e imbragature avvinghiate agli edifici. Le
porte aperte delle case lasciano scorgere i mobili, le tende alle
finestre, il filo per il bucato, i lampadari al soffitto e i letti
sconquassati, a immortalare l'attimo fatale in cui persero la vita
309 persone.
È tutto come allora, come se non
fossero passati sette anni.
C'è poco da visitare tra le quasi cento
chiese in stile aquilano, con la facciata quadrangolare e il rosone
centrale, ancorate a terra con l'impalcatura e all'ombra non dei
campanili, ma delle loro gru. Per le strade, un tempo pullulanti di
studenti universitari e ora avvolte dal buio di notte, i rumori di
martelli pneumatici hanno sostituito il trantran di auto e corriere.
Il caffè liberty Fratelli Nurzia, riaperto dopo soli nove mesi dal
terremoto (come indica il fiero cartello sopra le mensole dei torroni
al cioccolato), è imbrigliato dai tubi innocenti. Come lo sono gli
edifici del centro, l'università, la scuola elementare, la piazza
dove una scritta sul muro grida: «Daje L'Aquila!».
Eppure mai come ora in questa città
c'è bisogno di visitatori. Il turista fa del bene solo prendendo un
caffè al bar o comprando, come souvenir, una busta di zafferano alla
bottega di gastronomia. Riceverà, come ringraziamento, il saluto dei
passanti che non mancano di raccontare del terremoto a chi fa visita
a L'Aquila. «Grazie per essere qui, per noi è importante», dice il
ristoratore di una locanda del centro rimasta in piedi dopo il
terremoto, ma riaperta due anni e mezzo dopo perché senza
allacciamenti di acqua, luce e gas. Chi da subito ha voluto rialzarsi
ha incontrato una strada in salita tracciata non solo dal terremoto,
ma dalla burocrazia lenta e dalla malavita che in L'Aquila ha visto
una gallina dalle uova d'oro: appalti, cantieri, finanziamenti. «La
città era in una campana di vetro, si era al sicuro, all'improvviso
siamo diventati un obiettivo del malaffare», racconta una giovane donna che ha ricominciato aprendo un B&B nella
zona rossa, in una «ex» via centrale oggi dimenticata e deserta. Il
suo è stato un moto d'orgoglio, una reazione, «un modo per tenerci
occupati e incontrare tante persone e parlare di ciò che è
accaduto».
Riassume la storia di questi sette
anni, un graffito sul muro di una casa davanti alle macerie di
un'altra: una grande aquila caduta al suolo, in frantumi, è
accerchiata da chi le ruba i pezzi, mentre un avvoltoio guarda la
scena con una valigia di soldi. «Dopo il terremoto sono arrivati gli
avvoltoi e si sono rubati tutto», racconta un anziano spiegando il
murale. Ogni giorno passa di lì: il cumulo di macerie era la sua
casa. Si fa il segno della croce davanti a un mazzolino di fiori
sintetici sbiaditi dal tempo. «Lì è morta mia sorella», gira
attorno al perimetro e poi se ne va nella sua nuova casa, a Borgo
Rivera.
Santa Maria di Collemaggio |
L'onda di riscatto è partita tardi: solo da un anno e mezzo si vedono risultati. Si ricostruisce partendo dalle fondamenta e sistemando la facciata, per eliminare le impalcature: «Hanno un effetto cupo per noi che le vediamo tutti i giorni. I ruderi della casa dello studente, ad esempio, vanno trasformati in memoriale, vederli così non aiuta», conclude la giovane del B&B.
Ma la città racconta anche storie
belle. L'Aquila che si rialza col concorso di tutti: il Veneto
finanzia il restauro della chiesa di San Marco, nei pressi della
prefettura dove il celebre cornicione con la scritta «Palazzo del
Governo» è stato raddrizzato; l'Eni ridona prestigio a Collemaggio;
interventi di recupero sono finanziati da province, enti e
associazioni italiani ed esteri: il Governo russo ha adottato il
settecentesco palazzo Ardinghelli in piazza Santa Maria Paganica. E
c'è un aiuto, infine, che tutti gli italiani possono dare: visitare
L'Aquila!
Nessun commento:
Posta un commento