14 luglio 2017

Paola Del Din, patriota per l'Italia libera e onesta

Con la schiena dritta sempre, nonostante l'impresa che da ragazza le rubò cinque centimetri d'altezza e nonostante i suoi 94 anni, ben portati, che la costringono a camminare con un bastone. Che brandisce con forza quando parla gesticolando. Con la schiena dritta e la lingua schietta, Paola Del Din è una donna straordinaria che neppure ventenne attraversò l'Italia occupata del 1944 con documenti segreti cuciti nel cappotto da consegnare agli alleati a Firenze nel tentativo – poi vanificato dagli effetti del precedente sbarco in Normandia – di liberare lo Stivale dal nazifascismo con un approdo dall'Alto Adriatico. Da Udine a Firenze e da lì a Roma, infine in Puglia, a Monopoli, per poi tornare a casa («da mia mamma alla quale avevo promesso che sarei tornata entro novembre») con un viaggio rocambolesco conclusosi con un lancio in paracadute sulle sue terre occupate e con la divisa militare inglese addosso.
Mossa da una visione liberale e nazionale della battaglia antifascista, patriota della Osoppo attiva nell'Udinese («Eravamo patrioti, non partigiani! Il partigiano sta da una parte, noi eravamo per tutta l'Italia libera e onesta»), le sue avventure ne hanno fatto la prima donna paracadutista militare italiana e forse la prima anche ad aver effettuato un lancio di guerra, mettendole al petto una Medaglia d'oro al valor militare. L'unica -delle quattro conferite a donne viventi - per azione di guerra.

Andrea Romoli con Paola Del Din al Festival èStoria 2017
È un fiume in piena, schietto e trasparente, Paola Del Din quando racconta la sua storia che non ha mai celebrato, un po' perché, dice, «ho fatto quello che dovevo», un po' perché l'ultimo giorno della seconda guerra mondiale fu per lei il primo della guerra fredda, nelle sue terre sul confine orientale vittime delle ambizioni di occupazione titine.
Ma oggi il giornalista Rai Andrea Romoli ci restituisce quest'epopea con il volumetto Il diritto di parlare (Gaspari Editore, 2017) presentato in anteprima al festival èStoria di Gorizia.
Paola nasce a Pieve di Cadore nel 1923. Il padre, Prospero, è capitano degli Alpini, reduce della Prima Guerra, non iscritto al partito fascista; la madre Ines è figlia del medico condotto di Recoaro. In famiglia ci sono anche Maria, la figlia più grande, e Renato, maggiore di Paola di un anno e a lei legatissimo. La famiglia si sposta nell'Udinese negli anni Trenta. 
La famiglia Del Din (Gaspari Editore)
Prospero parte per l'Africa nel 1935 e poi nel 1940 per la campagna di Grecia dove, catturato, viene fatto prigioniero dagli inglesi e condotto in India. Renato nel '38 intraprende la carriera militare. È sottotenente nel 1943 quando per l'armistizio dell'8 settembre il suo battaglione si scioglie. Forma allora un gruppo di Resistenza patriota che confluirà nella Osoppo. In questo contesto cresce Paola. Come staffetta porta in giro armi, documenti, informazioni. È brava a tenere tutto per sé, chiede il meno possibile, per non doverlo rivelare in caso di cattura e tortura. Renato organizza attentati e sabotaggi contro i nazisti, ma muore il 25 aprile 1944 cercando di prendere una postazione tedesca a Tolmezzo. Paola lo saprà un mese dopo. È struggente il suo dolore. Ma decide di continuare la sua azione e il 20 luglio 1944 a Pielungo accetta la proposta dell'ufficiale di collegamento inglese Manfred Von Czernin: portare documenti a Firenze, occupata ma in fase di capitolazione, per organizzare uno sbarco sull'Alto adriatico che accorci di un anno la guerra. Paola parte, col benestare della madre che conta un marito prigioniero, un figlio morto e l'altra figlia in Sicilia a fianco del marito militare. Paola attraversa l'Italia in treno e su furgoni, traghetti e mezzi guidati da tedeschi «con la mia faccia da bamboccia e il libro di Glottologia per l'esame che dovevo dare all'Università». 
Il 15 agosto, da tempo a Firenze, passa le linee in città e consegna al comando alleato i documenti che però resteranno dimenticati per giorni in una cassaforte. Viene spostata a Monopoli e come premio chiede la liberazione del padre che torna dall'India e rivede a Roma. I due si separano di nuovo. Paola frequenta un corso di addestramento in Puglia di quattro giorni di paracadutismo con i militari inglesi per tornare in Friuli e continuare l'attività con la Osoppo sempre in contatto con gli Alleati. Dopo quattro tentativi vani, il 9 aprile 1945 tocca la sua terra: «Commisi un solo errore: non mi tolsi i guanti di lana. Mi lanciai carica e le corde scivolavano per via dei guanti impedendomi di frenare. Fu un atterraggio duro mi fratturai la caviglia e presi un'insaccatura alla colonna vertebrale. Senza accorgermene persi cinque centimetri d'altezza».
Finisce la guerra, ma non la lotta della famiglia Del Din per la patria. Prospero attiva una rete per impedire che Udine sia occupata dalle forze titine. Paola è al suo fianco. Ma nel frattempo riprende la sua vita: la laurea, un dottorato in Pennsilvania, la docenza, la famiglia.
Paola e Prospero a Roma (Gaspari Editore)
Ma quei due anni da patriota, costellati di pericoli, dolori, lontananze, sono un racconto che tiene col fiato sospeso come in un film: «Non avevo paura. Ero sicura di fare la cosa giusta. Il contorno non aveva senso, bisognava fare quello che c'era da fare, niente era pericoloso. Non era un atto di coraggio, sapevo che il rischio era grosso, ma la forza di quello in cui si crede è più forte. E sono ancora qua. Quando si tratta della libertà e della vita delle persone occorre avere un punto fermo. Ho rischiato molto, ma l'ho fatto sapendo che era importante per l'esistenza di molti: ho cercato di limitare la sofferenza della mia gente. La patria non è un pezzo di terra, ma di figli, di nonni, di padri».
Valeva la pena? «Sì. Per salvare dal disastro quanto era stato costruito. Eravamo figli del Risorgimento, il fascismo non c'entrava nulla con noi. Il nostro era desiderio di uscire dal buio in cui eravamo finiti. Ho fatto quello che dovevo fare, ma sono stata fortunatissima».

E come vede l'Italia di oggi? «Non è quella che volevamo: libera, onesta, giusta. Ma per questo bisogna continuare a non avere paura e dire ciò che si pensa in maniera onesta. Si deve partecipare, non per fare le rivoluzioni, ma perché altrimenti a lungo andare il silenzio si paga. Bisogna rimediare, correggere, non distruggere per conservare l'unità sociale di questo paese. Non si deve perdere l'ottimismo e sperare sempre che il buon senso arrivi dove serve».   

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