28 luglio 2014

Trincee, il fronte mai aperto della Lessinia


 «Quante di queste strade di montagna, che ora le automobili di lusso, per il piacere di tanti oziosi, percorrono in fretta lasciandosi dietro un'effimera scia d'ammirazioni e d'esclamazioni, sono state costruite da uomini che venivano da patimenti e dai pericoli delle trincee». Scrive Giani Stuparich, letterato irredento triestino, arruolatosi col fratello Carlo nell'esercito italiano per il fronte della Grande Guerra, pur dovendo vestire la divisa dell'Austria Ungheria.
Scrisse nel 1937, a Podestaria, quando fece visita ai luoghi in cui il fratello, per poco tempo, fu di stanza lassù durante la costruzione della strada militare nel 1915 (post precedente). Luoghi che portano i segni di quell'aspro conflitto e strutture che tuttora utilizziamo.
Pur non essendo prima linea, Verona giocò un ruolo strategico durante il primo conflitto mondiale, quale città di retrovia che avrebbe difeso i confini italiani qualora l'esercito austroungarico avesse trovato un passaggio – che non trovò grazie al complesso di forti eredità proprio austriaca – per la Val d'Adige. Andava quindi sviluppato un sistema di difesa, soprattutto sugli altipiani della Lessinia, tra Veneto e Trentino, dove correva il confine tracciato nel 1866 con l'annessione della nostra regione al regno d'Italia.

I temuti combattimenti, che pure poco distante in linea d'aria – sull'Altissimo da una parte e nel vicentino dall'altra – si sentivano in lontananza, non ci furono. Tuttavia, l'impiego di forze e di ingegno per realizzare un sistema difensivo in una zona di alture verdeggianti fu complesso. Da placidi pascoli, isolati e deserti, abitati solo da pastori con le mandrie in alpeggio, la Lessinia, già nel 1915 – a pochi mesi dall'ingresso in guerra dell'Italia – fu luogo di grandi operazioni. Occorreva attrezzare le alture sopra Bosco Chiesanuova di trincee e postazioni. Le malghe divennero dormitori per gli ufficiali. Tutto attorno, baraccamenti. Per arrivarci occorrevano strade e furono costruite. A Bosco e a Erbezzo, si attivò la rete dei servizi di guerra: per sostenere i lavori dei militari – arrivati a migliaia – servivano panifici, lavanderie, fabbri e maniscalchi, carpentieri e muratori. Tra il '15 e il '18, la Lessinia fu “invasa” da circa ventimila soldati e cinquemila operai impiegati nella realizzazione delle opere di difesa dell'altipiano, lungo una linea di confine di 15 chilometri, dove operava la Prima armata, col sesto reggimento alpini.
Il territorio subì una profonda trasformazione, dotato di strade carrabili – tra cui quella per Podestaria – e affollato di guarnigioni. Nel 1917, dopo la rotta di Caporetto e con l'esigenza di attrezzare i Lessini di tre linee fortificate, le operazioni si intensificarono: furono scavati otto chilometri di trincee e stesi 50mila metri di reticolati. Trenta bocche da fuoco per cannoni e obici, centinaia di postazioni per mitragliatrici, piazzole, scale e gallerie scavate nella roccia, caverne e baracche, camminamenti e strade costellarono l'altopiano.


Di quell'immensa opera ingegneristica, oggi, se ne vedono i segni, seguendo i cippi del vecchio confine o la strada da Castelberto a malga Pidocchio, che scende fino a Bosco Chiesanuova ed Erbezzo, realizzata in 45 giorni dalla decima compagnia della milizia territoriale del Terzo Genio, a partire dal 15 agosto 1915.
La strada attraversa tuttora il sistema difensivo del Pedocchio, la cui parte incassata in un blocco di roccia isolata e sporgente dal prato verde è oggi oggetto di cura del gruppo alpini di Verona (su direzione dell'architetto Fiorenzo Meneghelli, col sostegno della Comunità montana), intento in un'operazione di archeologia moderna, per recuperare gallerie e trincee. Eliminando terra ed erbe, sta riportando alla luce scalette scavate nella roccia, cunicoli e caverne sotterranee, con lo sbocco sulla valle per le posizioni di quattro cannoni. Caserme e baraccamenti per i soldati proseguivano lungo la strada fino a Castelberto, dove tuttora si intravvedono camminamenti e grotte a strapiombo sulla Val d'Adige, tutto attorno il monte Tomba, lo Sparavieri con dietro la catena dei monti della Vallarsa, sotto l'Adige e poi l'Altissimo. 

 Qui oggi si cammina tra prati di genziane, solchi di trincee ricolme d'erba, al suono dei campanacci delle mucche al pascolo. Cento anni fa, la quiete era interrotta dai tremori dei cannoni lontani, che i soldati di Podestaria sentivano da Rovereto e dai Coni Zugna, da Passo Buole e dal Pasubio. Quando tacquero, tutto tornò alla tranquillità e la natura si riprese ciò che le era stato tolto, coprendo le trincee coi suoi manti. Ma sono luoghi, oggi, dei quale occorre avere cura perché «Ancora adesso – come scrisse Stuparich – questi paesaggi, per coloro che non sanno dimenticare, sono circonfusi di un'aria sacra: è come se fossero protetti dalla presenza di chi s'è sacrificato generosamente per difenderne la pace».

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