23 maggio 2017

Verona nell'aprile 1945... sulla carta

Fumano ancora le caverne di monte Arzan, le polveriere tedesche. I cittadini di Avesa nella notte del 25 aprile 1945, con don Giuseppe Graziani, le hanno svuotate evitando l'apocalisse quando i nazisti in fuga le fanno saltare. Fumano, mentre le truppe della V armata americana fanno ingresso da viale Piave a Verona, accolte da una folla festante.
26 aprile 1945. In quegli istanti la popolazione stremata sembra archiviare tutto. La guerra è finita. Ci sono gli americani: sigarette, caramelle e divise che profumano di pulito. Poco importa se sono gli stessi che da cinque anni bombardano la città: 28 incursioni (l'ultima, terribile, il 6 aprile) per 700 vittime, aerei americani di giorno, inglesi di notte.

Ma è festa oggi e le truppe sfilano ignare di cosa abbia passato la città nell'ultimo biennio: qui i nazisti hanno collocato i punti di comando per coordinare l'occupazione dell'Italia Settentrionale; qui è nata la Repubblica sociale italiana; e negli stessi metri quadrati di centro storico i partigiani hanno sabotato gli occupanti, lottato, anche morendo, per la libertà, mentre dalle stazioni di Porta Nuova e Porta Vescovo sui convogli dei deportati sono partiti 500 veronesi (ne tornerà solo la metà).
Racconta la storia di questo biennio lacerante, la cartina topografica dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea pubblicata a cura del presidente Stefano Biguzzi e di Olinto Domenichini, con la collaborazione di Roberto Bonente e Rolando Crepaldi.
La carta rileva, con apposite icone e spiegazioni storiche, i luoghi della Resistenza, della Rsi, del nazismo, della persecuzione, dei bombardamenti aerei e della liberazione nella Verona del 1943-45. È un supporto topografico dedicato ai veronesi perché per ricordare non c'è modo più efficace, spiega Biguzzi, «del muoversi fisicamente sui luoghi degli eventi».
Torniamo allora al 26 aprile del '45, cartina in mano a guidarci tra gli enormi crateri attorno alle stazioni ferroviarie e tra i cumuli di macerie, un tempo chiese e monumenti, vicino all'Arena, al Duomo o alle biblioteche Capitolare e Civica: sono il frutto dei bombardamenti Alleati. Sulle colline, invece, c'è la costellazione di forti austriaci: San Mattia, San Leonardo e Santa Sofia, adibiti a prigioni dai tedeschi. Più sotto la Valdonega, terra di sabotaggi partigiani alle linee telefoniche militari, dove molte abitazioni sono state requisite dai reparti tedeschi e della Rsi, come gli Istituti ospitalieri di Borgo Trento.
Passeggiando per corso Porta Nuova, uno sguardo in via Battisti dove si affaccia l'Educandato agli Angeli: nel cortile interno c'è un bunker nazista. Due passi avanti ancora, sul corso, c'è la Trattoria Alloggio Valbusa (oggi Hotel Verona) dove i patrioti veronesi si ritrovano spesso, in barba al pericolo nazista: al civico 17, c'è il palazzo dell'Ina, principale centro operativo delle forze di polizia tedesche dell'Italia occupata. Fino a qualche giorno prima, a quelle finestre, si sono affacciati il generale delle SS Wilhem Harster impegnato nell'attività di repressione della resistenza all'occupazione tedesca e alla Rsi, e i suoi sottoposti Boβhammer e Dennecker, responsabili dell'ufficio incaricato di dare la caccia agli ebrei in Italia. Dalle cantine, invece, sono salite le voci dei prigionieri che qui, dopo estenuanti interrogatori e indicibili torture, hanno trovato l'anticamera della deportazione o della morte.
Dall'Ina a piazza Bra il passo è breve. A sinistra, c'è via Roma, in fondo alla quale, fiero e sopravvissuto, svetta Castelvecchio, luogo simbolo della Rsi. Nel novembre del 1943, ha ospitato il primo congresso del Partito Fascista Repubblicano e lì sono stati redatti i 18 punti della Carta di Verona, atto costituente della Repubblica sociale. Nel gennaio successivo, è sottoposto a processo per tradimento (perché firmatario del decreto che ha fatto decadere Mussolini, 25 luglio 1943) Galeazzo Ciano al quale il maggiore delle SS Felicitas Beetz, residente con Harster all'Hotel Gabbia d'oro in corso Porta Borsari, ha tentato di carpire i ricercatissimi diari. Con Ciano a processo ci sono Emilio De Bono e altri gerarchi. Tutti condannati alla fucilazione a forte Procolo. Qualche mese dopo, nello stesso luogo, è fucilato il partigiano Lorenzo Fava, dopo atroci torture: il 17 luglio 1944 ha condotto l'assalto al carcere degli Scalzi, la prigione di Stato della Rsi, poco distante da Castelvecchio, dove son finiti gerarchi «collaborazionisti» di Badoglio ed esponenti dell'antifascismo come Giovanni Roveda, liberato dall'assalto dei Gap, costato la vita a Fava e a Danilo Preto.

È una città senza ponti, Verona. I tedeschi in ritirata, il 25 aprile, li hanno fatti saltare. C'è un unico passaggio: al ponte ferroviario di Basso Acquar danneggiato solo nelle arcate esterne. I genieri americani lo sistemano con strutture provvisorie. Lì si può attraversare e costeggiando il fiume si arriva alla caserma Ederle che racconta la strenua resistenza, dopo l'8 settembre, dell'Ottavo Reggimento di artiglieria agli ordini del colonnello Eugenio Spiazzi in opposizione ai tedeschi che tentano l'occupazione. Poco distante, in alcune stanzette in via San Vitale, ha lavorato la stamperia clandestina di Giovanni Faccioli vicinissima al comando della Guardia nazionale repubblicana che ha l'ufficio politico investigativo a due passi dal teatro romano e dalle macerie di ponte Pietra: nell'attuale piazza Martiri della Libertà. In quelle stanze hanno trascorso le ultime ore di vita esponenti della Resistenza veronese come Giovanni Fincato, colonnello degli alpini pluridecorato della Grande Guerra, morto il 6 ottobre 1944 dopo sedici ore di torture. Il suo corpo gettato in Adige, ma dalla sua bocca non un nome di partigiano è sfuggito.

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