Fumano ancora le caverne di monte
Arzan, le polveriere tedesche. I cittadini di Avesa nella notte del
25 aprile 1945, con don Giuseppe Graziani, le hanno svuotate
evitando l'apocalisse quando i nazisti in fuga le fanno saltare.
Fumano, mentre le truppe della V armata americana fanno ingresso da
viale Piave a Verona, accolte da una folla festante.
26 aprile 1945. In quegli istanti la
popolazione stremata sembra archiviare tutto. La guerra è finita. Ci
sono gli americani: sigarette, caramelle e divise che profumano di
pulito. Poco importa se sono gli stessi che da cinque anni bombardano
la città: 28 incursioni (l'ultima, terribile, il 6 aprile) per 700
vittime, aerei americani di giorno, inglesi di notte.
Ma è festa oggi e le truppe sfilano
ignare di cosa abbia passato la città nell'ultimo biennio: qui i
nazisti hanno collocato i punti di comando per coordinare
l'occupazione dell'Italia Settentrionale; qui è nata la Repubblica
sociale italiana; e negli stessi metri quadrati di centro storico i
partigiani hanno sabotato gli occupanti, lottato, anche morendo, per
la libertà, mentre dalle stazioni di Porta Nuova e Porta Vescovo sui
convogli dei deportati sono partiti 500 veronesi (ne tornerà solo la
metà).
Racconta la storia di questo biennio
lacerante, la cartina topografica dell'Istituto veronese per la
storia della Resistenza e dell'età contemporanea pubblicata a cura
del presidente Stefano Biguzzi e di Olinto Domenichini, con la
collaborazione di Roberto Bonente e Rolando Crepaldi.
La carta rileva, con apposite icone e
spiegazioni storiche, i luoghi della Resistenza, della Rsi, del
nazismo, della persecuzione, dei bombardamenti aerei e della
liberazione nella Verona del 1943-45. È un supporto topografico
dedicato ai veronesi perché per ricordare non c'è modo più
efficace, spiega Biguzzi, «del muoversi fisicamente sui luoghi degli
eventi».
Torniamo allora al 26 aprile del '45,
cartina in mano a guidarci tra gli enormi crateri attorno alle
stazioni ferroviarie e tra i cumuli di macerie, un tempo chiese e
monumenti, vicino all'Arena, al Duomo o alle biblioteche Capitolare e
Civica: sono il frutto dei bombardamenti Alleati. Sulle colline,
invece, c'è la costellazione di forti austriaci: San Mattia, San
Leonardo e Santa Sofia, adibiti a prigioni dai tedeschi. Più sotto
la Valdonega, terra di sabotaggi partigiani alle linee telefoniche
militari, dove molte abitazioni sono state requisite dai reparti
tedeschi e della Rsi, come gli Istituti ospitalieri di Borgo Trento.
Passeggiando per corso Porta Nuova, uno
sguardo in via Battisti dove si affaccia l'Educandato agli Angeli:
nel cortile interno c'è un bunker nazista. Due passi avanti ancora,
sul corso, c'è la Trattoria Alloggio Valbusa (oggi Hotel Verona)
dove i patrioti veronesi si ritrovano spesso, in barba al pericolo
nazista: al civico 17, c'è il palazzo dell'Ina, principale centro
operativo delle forze di polizia tedesche dell'Italia occupata. Fino
a qualche giorno prima, a quelle finestre, si sono affacciati il
generale delle SS Wilhem Harster impegnato nell'attività di
repressione della resistenza all'occupazione tedesca e alla Rsi, e i
suoi sottoposti Boβhammer e Dennecker, responsabili dell'ufficio
incaricato di dare la caccia agli ebrei in Italia. Dalle cantine,
invece, sono salite le voci dei prigionieri che qui, dopo estenuanti
interrogatori e indicibili torture, hanno trovato l'anticamera della
deportazione o della morte.
Dall'Ina a piazza Bra il passo è
breve. A sinistra, c'è via Roma, in fondo alla quale, fiero e
sopravvissuto, svetta Castelvecchio, luogo simbolo della Rsi. Nel
novembre del 1943, ha ospitato il primo congresso del Partito
Fascista Repubblicano e lì sono stati redatti i 18 punti della Carta
di Verona, atto costituente della Repubblica sociale. Nel gennaio
successivo, è sottoposto a processo per tradimento (perché
firmatario del decreto che ha fatto decadere Mussolini, 25 luglio
1943) Galeazzo Ciano al quale il maggiore delle SS Felicitas Beetz,
residente con Harster all'Hotel Gabbia d'oro in corso Porta Borsari,
ha tentato di carpire i ricercatissimi diari. Con Ciano a processo ci
sono Emilio De Bono e altri gerarchi. Tutti condannati alla
fucilazione a forte Procolo. Qualche mese dopo, nello stesso luogo, è
fucilato il partigiano Lorenzo Fava, dopo atroci torture: il 17
luglio 1944 ha condotto l'assalto al carcere degli Scalzi, la
prigione di Stato della Rsi, poco distante da Castelvecchio, dove son
finiti gerarchi «collaborazionisti» di Badoglio ed esponenti
dell'antifascismo come Giovanni Roveda, liberato dall'assalto dei
Gap, costato la vita a Fava e a Danilo Preto.
È una città senza ponti, Verona. I
tedeschi in ritirata, il 25 aprile, li hanno fatti saltare. C'è un
unico passaggio: al ponte ferroviario di Basso Acquar danneggiato
solo nelle arcate esterne. I genieri americani lo sistemano con
strutture provvisorie. Lì si può attraversare e costeggiando il
fiume si arriva alla caserma Ederle che racconta la strenua
resistenza, dopo l'8 settembre, dell'Ottavo Reggimento di artiglieria
agli ordini del colonnello Eugenio Spiazzi in opposizione ai tedeschi
che tentano l'occupazione. Poco distante, in alcune stanzette in via
San Vitale, ha lavorato la stamperia clandestina di Giovanni Faccioli
vicinissima al comando della Guardia nazionale repubblicana che ha
l'ufficio politico investigativo a due passi dal teatro romano e
dalle macerie di ponte Pietra: nell'attuale piazza Martiri della
Libertà. In quelle stanze hanno trascorso le ultime ore di vita
esponenti della Resistenza veronese come Giovanni Fincato, colonnello
degli alpini pluridecorato della Grande Guerra, morto il 6 ottobre
1944 dopo sedici ore di torture. Il suo corpo gettato in Adige, ma
dalla sua bocca non un nome di partigiano è sfuggito.
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