Il 10 febbraio è il Giorno del ricordo
in memoria dell'esodo dei 350mila italiani dell'Istria e
giuliano-dalmati che per restare italiani lasciarono case, paesi,
cimiteri e ricordi, rifugiandosi all'interno dei nuovi confini
dell'Italia ritiratisi – per conseguenza della seconda guerra
mondiale – alle porte di Trieste. La data rievoca il 10 febbraio
1947, giorno del Trattato di Parigi che sancì il passaggio di quelle
terre italiane alla Jugoslavia.
L'esodo è la conseguenza più drammatica degli anni di persecuzioni sanguinose e di pulizie etniche, infoibamenti, rastrellamenti e fucilazioni a opera dei titini contro gli italiani, iniziati già con l’armistizio dell’8 settembre 1943 quando Tito abbozza l'occupazione della Venezia Giulia, poi interrotta e ripresa nel maggio del ’45, con la capitolazione della Germania. Sono anni di efferatezze, per tanto tempo taciute. Finiscono in foiba migliaia di civili italiani, militari e religiosi. La ferocia vuole indurre la popolazione italiana ad abbandonare il territorio che deve diventare slavo. Dal '43 al '54 sono diverse le ondate di migrazione di migliaia e migliaia di istriani, giuliani e dalmati in fuga dai loro paesi, per mare, per terra, a piedi, in treno, coi carri. Cercano rifugio in una patria che, tuttavia, non li accoglierà con benevolenza: rappresentano la sconfitta, sono un ulteriore problema da affrontare tra i tanti lasciati dalla guerra. La maggior parte di loro vive in campi di baracche, edifici dismessi e caserme abbandonate, in tutta Italia, lasciando una vita dignitosa e ricominciando da una stanza e dai vestiti che hanno indosso.
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