Le mamme su quelle bagnarole incagliate a Lampedusa e i bimbi piccoli in braccio sono state spesso un punto di domanda per me. Non temevano per i loro figli neonati? La risposta me l'hanno data Francis e Vivien qualche anno fa...
«La gente ci diceva che eravamo matti a partire con un bambino così piccolo: arrivavano nel porto libico barconi pieni di cadaveri. Alle nostre spalle Tripoli in subbuglio. Avevamo morti davanti e morti dietro. Abbiamo deciso di andare avanti, a costo di sacrificarci».
di Maria Vittoria Adami, L'Arena, 28 giugno 2011
Francis e Vivien hanno 34 anni e la
pelle dell’Africa nera, ma dicono di venire dalla Libia. Fino a
qualche mese fa, infatti, per loro, la patria di Muammar Gheddafi era
una terra promessa, scelta nel 2003 quando decisero di lasciare il
Ghana, loro Stato d’origine, in cerca di lavoro e tranquillità.
Lo raccontano in un mix di inglese e
ashanti, col loro bimbo in braccio, Isac di otto mesi, nato nella
tranquillità di Tripoli, dove il papà faceva l’operaio e la mamma
l’addetta alle pulizie, quando ancora non c’era la guerra. Ora la
famiglia è ospite di Emmaus Villafranca, dove ha trovato alloggio,
partecipando al lavoro della comunità. Sono lì dal 28 maggio, dopo
l’ultimo viaggio, a bordo dei mezzi della Protezione civile, che li
ha condotti da Vicenza a Villafranca.
Francis e Vivien Assare, poco più di
un mese fa, hanno lasciato la loro terra promessa, di nuovo in fuga,
questa volta dallo stato di insicurezza e incertezza derivante dalla
guerra che ha invaso anche le strade di Tripoli. Si sono imbarcati su
una bagnarola con altre 450 persone, pagando 1600 dinari libici in
due (circa mille euro, ndr). Hanno passato tre giorni e tre notti in
mare, fino al «good country», l’Italia, la buona Italia «che
soccorre i più deboli, che salva le persone dal mare».
Francis lasciò il Ghana con la moglie
nel 2003. Lo Stato oggi è considerato tra i più istituzionalmente
equilibrati dell’Africa dell’ovest, ma una decina d’anni fa fu
interessato, nelle regioni del nord est, da alcuni conflitti etnici.
Una guerra tribale che costò la vita anche al padre di Francis,
insieme a molti uomini: «Bambini o adulti, se eri maschio ti
ammazzavano», racconta. Ripararono al Nord. «In tutto il sud
dell’Africa non c’è lavoro, in Libia sì e qualsiasi luogo
sarebbe stato meglio del Ghana». I sette anni a Tripoli sono passati
tranquillamente, poi, tre mesi fa, l’effetto domino della crisi
degli Stati del nord Africa è giunto anche lì. «Sono iniziati i
problemi. Si rischiava di rimanere vittime di rapine in casa e per
strada. Ti puntavano il coltello per un telefono. Sono stati tre mesi
difficili, non si erano mai verificate cose così prima». A metà
maggio la famiglia ha deciso così di partire. «Avevo paura di
tornare in Ghana e non avevo più nulla, né famiglia né casa. Così
abbiamo preso una barca. La gente ci diceva che eravamo matti a
partire con un bambino così piccolo: arrivavano nel porto libico
barconi pieni di cadaveri. Alle nostre spalle Tripoli in subbuglio.
Avevamo morti davanti e morti dietro. Abbiamo deciso di andare
avanti, a costo di sacrificarci. In Libia non avevamo più
possibilità né un futuro per nostro figlio». Per tre giorni hanno
viaggiato stipati in una barca, senza mangiare, solo bevendo acqua e
dando latte al bambino. «Abbiamo pianto per tre giorni e tre notti e
pregato», fino a quando da lontano, tra le acque blu del mare
siciliano è spuntata Lampedusa e si sono aperti i cancelli del
centro di accoglienza, dove sono rimasti per cinque giorni. «Lì
sono stati generosi. Ci hanno dato tutto ciò di cui avevamo bisogno:
cibo, acqua, cose necessarie al bambino. Le persone hanno avuto cura
di noi».
Renzo Fior, presidente di Emmaus
Villafranca, aveva segnalato la possibilità di poter ospitare in un
piccolo appartamento una donna sola con un bambino. È arrivata tutta
la famiglia Assare, per la quale ora la comunità tenta di reperire i
documenti. Per loro, infatti, c’è un permesso di sei mesi, per
ora; tuttavia probabilmente saranno espulsi. Non sarà facile,
infatti, ottenere lo status di rifugiati, poiché il Ghana non è
considerato un paese in crisi. «Non vogliamo tornare in Africa»,
conclude Francis. «Qui siamo liberi e al sicuro e abbiamo
dimenticato il passato grazie all’Italia».
Vedi anche la storia di Kassem e Moustafa venuti dalla Somalia.
Nessun commento:
Posta un commento