Per 15 anni ce ne siamo dimenticati,
quasi archiviandola, troppo in fretta, con la fine della Guerra
Fredda e lo sfaldamento dell'Unione Sovietica. Ma la Russia coi suoi
metodi -agli occhi delle democrazie occidentali - aggressivi e
spregiudicati e con una potente guida, Vladimir Putin, è tornata
alla ribalta della scena internazionale. Oggi con le presunte
interferenze nelle elezioni americane e con l'intervento in Siria,
ieri con il conflitto in Ucraina per l'annessione della Crimea.
Sergio Romano, 87 anni, che ha chiuso
la sua carriera di ambasciatore italiano proprio a Mosca, offre una
chiave di lettura di questa rinnovata superpotenza nel suo Putin e
la ricostruzione della Grande Russia (Longanesi 2016, pp.160, 18
euro), presentato al festival internazionale èStoria 2017 di
Gorizia.
Ritiratasi per curare le sue ferite
interne, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, e per evitare altri
sfaldamenti (da qui l'incubo dell'indipendenza cecena, a rischio di
emulazione), per molto tempo la Russia non ha potuto mantenere il
ruolo esercitato in passato quando non c'era trattato che fosse
sottoscritto a livello internazionale senza il suo parere. «È stato
dato per scontato che la sua decadenza fosse definitiva», spiega
Romano. «Forse gli oligarchi potevano pensarlo, mirando a una
maggiore autonomia. Ma c'era chi, amareggiato, voleva riprendere il
terreno perduto». Tra questi c'era Putin dal passato nel Kgb e
convinto «nazionalista russo» ovvero proteso a tenere unite tutte
le componenti dello Stato imperiale: «Nel caso russo, essere
nazionalisti non significa esserlo etnicamente, ma con una
connotazione imperiale: la Russia è sempre stata un impero», spiega
Romano. «Per Putin lo choc è stato la perdita di questo status
internazionale. La nostalgia è per questo, non per la rivoluzione
bolscevica o Brest Litovsk (trattato del 1918 per l'uscita della
Russia dalla prima guerra mondiale, ndr). Essere nazionalisti senza
connotazione imperiale, quindi, significa essere causa di guerra
civile». E Putin è da sempre guidato da questo concetto, espresso
tardi solo perché prima si è occupato di altro: «Di nemici
interni, come gli oligarchi, ormai padroni di casa, che doveva
mettere in riga. Fu la sua prima vittoria. Li convocò e disse loro
che potevano continuare a fare ciò che facevano, ma che dovevano
pagare le tasse e obbedire al Cremlino».
Romano suggerisce un punto di vista
interno alla Russia per capirne le dinamiche che la regolano e che
all'esterno figurano dispotiche e antidemocratiche. «Considerare
Putin un tiranno è un atteggiamento da guerra fredda. Il suo è un
metodo democratico nel senso del termine: il popolo c'è, è
favorevole a Putin. Gli riconosce meriti e l'orgoglio nazionale.
Certo a qualcuno nel mondo questo non piace. Gli Stati Uniti
continuano a tenere vivo il sentimento che la Russia sia un nemico».
Da qui il Russia-Gate e il caso dell'interferenza sulle elezioni
americane. «Già il termine Gate evoca Nixon, evoca l'impeachment
che si tenta sempre per ogni presidente. Nel Russia Gate vedo
il desiderio di incriminare Trump e niente lo renderebbe più facile
quanto un legame con i russi che sono accusati di spionaggio. Ma chi
non fa spionaggio internazionale?». Diplomatico e conservatore
Romano caldeggia strade alternative alla russofobia e che non passino
per sabotaggi e sanzioni: «Sono atti ostili che hanno il fine di
rovesciare il regime dello Stato sanzionato. Ma innescano poi altri
atti ostili a catena nelle popolazioni».
Nazionalista e superpotenza, la Russia
rimane però refrattaria alla democrazia se si parla di libertà di
stampa e di voci scomode: «Perché per le componenti slave e
asiatiche e il quadro religioso variegato, la Russia è un paese che
si governa solo dal centro, altrimenti rischia scissioni, dissidenze,
guerre civili. Certo è auspicabile più libertà per i suoi
cittadini perché ha conosciuto una crescita della società borghese
che ha viaggiato e letto e merita molto di più di quanto Putin
conceda, ma è una minoranza. La maggioranza pensa che conti il
potere come antidoto per la fragilità del Paese».
Previsioni per il dopo Putin? «Sono un
conservatore. Terrei Putin, almeno lo conosco. Il passaggio di potere
comporta sempre una crisi. Trovare un altro presidente russo sarà un
problema».
(L'Arena 15 giugno 2017)
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