18 luglio 2015

Srebrenica: vent'anni fa, l'ultimo genocidio

L'Arena, 10 luglio 2015, di Maria Vittoria Adami

Ludvo, Hamed, Almir e Dzemal hanno 16 anni. Sono quattro degli 8.372 bosniaci musulmani rastrellati attorno a Srebrenica tra il 9 e l'11 luglio 1995 dalle truppe serbo-bosniache di Ratko Mladić. Condotti su camion e pullman pubblici nelle scuole, dove oggi i bimbi fanno lezione, o nelle fabbriche della zona, vengono lì torturati e assassinati. Quindi sepolti in una fossa comune. Poi dissotterrati. E risepolti altrove. Nascosti, smembrati, resi irriconoscibili.
Ludvo, Hamed, Almir e Dzemal oggi sono in quattro piccole bare coperte da un telo verde. La commissione internazionale per il riconoscimento delle persone scomparse, a Tuzla, attraverso il Dna, ha conferito il loro nome ad alcuni resti dissotterrati dalle fosse comuni di vent'anni fa. Saranno sepolti, l'11 luglio al Memorial center di Potočari, a Srebrenica, una spianata costellata da migliaia di cippi di marmo bianchi. È così che la cittadina della Bosnia poco distante dalla Drina (confine con la Serbia) celebra il lutto collettivo in ricordo del genocidio musulmano, uno degli episodi più efferati della guerra in Bosnia Erzegovina (1992-1995): ogni 11 luglio, si seppelliscono i corpi dissotterrati dalle fosse e identificati a Tuzla negli ultimi 12 mesi. Quest'anno saranno 136 le bare che si aggiungono alle oltre settemila di uomini (quasi tutti erano maschi, dai 12 anni in su) sepolti nel corso degli anni.
Al memoriale, sono attese 50mila persone: trentamila sono mogli, madri e sorelle che hanno perduto mariti, figli e fratelli vent'anni fa. Si accamperanno in tenda, nei prati vicini o nei ruderi delle case distrutte dalla guerra. I furgoni delle reti televisive, davanti ai cancelli del memoriale, trasmetteranno la cerimonia che durerà l'intera giornata. Vi parteciperanno quest'anno 85 capi di Stato e di governo, tra cui il premier di Belgrado Aleksandar Vučić: una presenza inedita a Srebrenica quella della Serbia, sempre assente alla cerimonia rifiutando di riconoscere il genocidio, ma che ora è in attesa per entrare nella Comunità europea.

Le autorità si incontreranno per la cerimonia civile alla fabbrica di accumulatori davanti al memoriale: è un luogo simbolo del genocidio. Era una base Onu, quartier generale olandese, a difesa della zona protetta di Srebrenica, area all'interno della quale si rifugiarono migliaia di bosniaci in fuga dal pericolo serbo nel luglio del 1995: le truppe di Mladić (arrestato per genocidio e stupri etnici soltanto nel 2011), minacciavano di sfondare la zona. Quando lo fecero, poche centinaia di giovani caschi blu olandesi, forse per timore delle più numerose truppe serbo-bosniache, forse perché da Mladić avevano ricevuto garanzie, forse per un disguido nell'avvicendarsi dei comandi, fecero uscire dalla zona protetta i bosniaci di fatto consegnandoli ai serbi che li ammazzarono. Tra loro c'erano anche 300 persone rifugiatesi nella fabbrica di accumulatori. Per queste morti, la corte distrettuale dell'Aja ha ritenuto responsabile, nel gennaio scorso, i Paesi Bassi.
Sono molti i veterani del Dutchbat presenti ogni anno a Potočari l'11 luglio. E l'Olanda, quasi in un rito di espiazione delle colpe, è tra gli Stati che più ha investito, in Bosnia, in interventi di ricostruzione di Srebrenica e per finanziare il lungo e costoso riconoscimento dei corpi al centro di Tuzla. Ma sulle responsabilità dell'Occidente ancora si discute. È di questi giorni l'inchiesta del periodico britannico Observer che sostiene che Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna non avrebbero impedito il massacro per non rompere le relazioni con i serbi e in attesa di una pace che sarebbe arrivata, qualche mese dopo, con gli accordi di Dayton. E, accusa ben più grave, riferisce che le truppe dell'Onu avrebbero fornito trentamila litri di benzina utilizzati dai serbo-bosniaci per pullman e ruspe a servizio del massacro.

In attesa delle tante verità da svelare, sulla spianata di Potočari, le donne di Srebrenica tornano a piangere i loro uomini. La cerimonia religiosa inizierà, dopo quella civile, con la preghiera degli imam. Saranno chiamati tutti i nomi delle persone sepolte. Una fiumana di gente sfilerà davanti alle bare, portate il giorno prima perché i familiari possano pregarvi sopra. Le casse verdi saranno poi passate di spalla in spalla fino alla fossa scavata per loro dove sarà eretto un cippo bianco.

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