La lapide in piazza San Venceslao a Praga |
È il pomeriggio del 16 gennaio 1969. A
Praga, un ragazzo si toglie il cappotto in piazza San Venceslao. Lo
posa con cura su una pietra con la sua borsa a tracolla, alza un contenitore sopra il capo, si cosparge di
benzina e si dà fuoco. Diventa una fiaccola per illuminare la
società affinché non ceda al ricatto di Mosca, imposto con i carri
armati e 600mila militari nell'agosto precedente. Quella fiamma è
Jan Palach (1948-1969), studente di filosofia all'università
Carlo IV. Fa parte del blocco sociale dei giovani universitari
che ha nutrito le speranze di un movimento di rinnovamento e visto il
riscatto della sua generazione in Alexander Dubček, massima autorità
dello Stato. Il segretario generale del Partito
Comunista in Cecoslovacchia ha, infatti, tentato, l'anno
prima, la riforma del «socialismo dal volto umano», arricchendo la
dottrina sovietica dell'humus culturale nel quale il Paese si è
alimentato ben prima dell'allineamento forzato all'Urss nel 1948.
Il programma di Dubček è un socialismo democratico che passa per libertà e diritti dell'uomo, e per l'abolizione della censura, e basato sui valori dell'umanesimo cristiano contrapposto alla deriva poliziesca e repressiva del socialismo sovietico. Ma quella spinta riformista del 1968, la Primavera di Praga, è stata interrotta dall'invasione sovietica che ha messo all'angolo Dubček.
Il programma di Dubček è un socialismo democratico che passa per libertà e diritti dell'uomo, e per l'abolizione della censura, e basato sui valori dell'umanesimo cristiano contrapposto alla deriva poliziesca e repressiva del socialismo sovietico. Ma quella spinta riformista del 1968, la Primavera di Praga, è stata interrotta dall'invasione sovietica che ha messo all'angolo Dubček.
Tomáš Masarik, primo presidente della Cecoslovacchia |
La situazione a gennaio è pesantissima
in uno Stato che non dimentica la sua storia, iniziata sulle ceneri
dell'impero austroungarico nel 1918 e con la repubblica democratica
parlamentare - sotto il primo presidente Tomáš Masaryk, liberal
democratico - che diventa tra i Paesi più sviluppati d'Europa tra le
due guerre, culturalmente vivace, infarcita delle dottrine
dell'umanesimo di Jan Hus.
A questa storia si abbeverano Palach e gli studenti che chiedono innanzitutto l'abolizione della censura e annunciano di darsi fuoco uno alla volta se non avranno l'appoggio della popolazione.
A questa storia si abbeverano Palach e gli studenti che chiedono innanzitutto l'abolizione della censura e annunciano di darsi fuoco uno alla volta se non avranno l'appoggio della popolazione.
«Palach è il portavoce di una
gioventù maturata in tempi di cecità, ma che è cresciuta
respirando la cultura ceca precedente masarikiana, di umanesimo e
tolleranza», spiega lo storico Francesco Leoncini, tra i massimi
conoscitori della storia della ex Cecoslovacchia. «Quando Mosca
mette in sordina quel rinnovamento, Dubček
viene visto come chi aveva capitolato. I giovani si oppongono
a una politica rinunciataria e subalterna». Ma sarebbe stata
possibile una resistenza? «No. L'invasione di 600mila soldati in un
paese pacifico era imponente. Era una logica militare difficile da
infrangere. Stati Uniti e Occidente non si opposero all'invasione,
perché consideravano pericoloso questo nuovo socialismo. Nessuno dei
partiti comunisti occidentali si mosse: il loro limite fu di non
approfittare per staccarsi dal blocco sovietico innescando un nuovo
socialismo occidentale che la Cecoslovacchia aveva proposto».
Palach muore il 19 gennaio in ospedale.
Alla sua morte gli studenti riempiono la piazza davanti
all'università chiedendo la fine della censura e accusando Dubček.
In 350mila visitano la salma. E al corteo funebre scendono in strada
anziani, accademici e operai.
Lo scossone alla coscienza nazionale ed
europea, però, dura poco. Qualche giorno dopo si dà fuoco Jan
Zaijz, ma la notizia trapela in ritardo. Altre due torce non destano
attenzione. Il presidente Svoboda non approva. Dubček, ormai al
capolinea politico, è a Bratislava e non interviene. Anche la
sinistra europea si mostra tiepida: «All'epoca, da una parte la
sinistra ignorò la Primavera di Praga guardando più al cosiddetto
socialismo delle palme e di Guevara e non tenne conto del
rinnovamento democratico del socialismo che portava avanti Praga;
dall'altra si mostrò insofferente a Dubček
e alla Cecoslovacchia accusati di voler tornare al capitalismo. Cosa
non vera: si proponeva un socialismo diverso, un nuovo modello di
democrazia nel rispetto della libertà e dell'uomo».
È così che fin da subito la memoria
di Jan Palach diventa appannaggio della destra che ne fa un suo eroe
(oggi trascinato dalla politica in un ciclone di polemiche come
quello sollevato dal concerto del 19 gennaio a Verona, organizzato da
forze di estrema destra con il patrocinio di Provincia e Comune, che
ha attirato le ire di senatori
cechi e studenti praghesi). Ma accade per un equivoco
storico-politico: «Nel '69», spiega Leoncini, «quando
all'università di Padova gli studenti chiesero che fosse intitolata
un'aula a Jan Palach appoggiò l'idea solo la destra. Ma per l'errata
convinzione che fosse un anticomunista. Invece Palach era contro quel
socialismo repressivo che Dubček aveva capito».
Francesco Leoncini (Venezia, 1946) è
tra i massimi conoscitori italiani della storia dell'ex
Cecoslovacchia. Laureato in Scienze politiche a Padova, di posizioni
cattoliche, si è occupato della storia dei Sudeti tedeschi e nel
1969 ha frequentato corsi di cecoslovacco a Bratislava. Ha insegnato
dal 1970 al 2011 Storia dell'Europa Orientale, dei Paesi Slavi e
dell'Europa Centrale all'università Ca' Foscari di Venezia. Nel 1998
ha fondato il Seminario Masaryk. Tra le sue pubblicazioni, ha curato
L'opposizione all'Est 1956-1981, la sola raccolta organica in
italiano di fonti e documenti sui movimenti alternativi nelle
democrazie popolari, e Che cosa fu la Primavera di Praga? Idee e
progetti di una riforma politica e sociali. Nel 2009 è uscito
Alexander Dubcek e Jan Palach. Protagonisti della storia europea,.
Ha tradotto dal ceco alcune lettere di Jan Hus dalla prigionia di
Costanza e l'opera programmatica di Tomas Masaryk La Nuova Europa.
Il punto di vista slavo. Il suo ultimo lavoro è Dubcek. Il
socialismo della speranza. Immagini della Primavera cecoslovacca. Con
un testo di Guenter Grass (Gangemi, Roma, 2018).
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