Un visionario quanto appassionato collezionista morto tra i suoi pezzi d'antan nel rogo di un magazzino, dove dormiva in una bara; migliaia di documenti, cimeli, cannoni e mezzi militari del Novecento stipati in diversi siti a Trieste e dintorni; un'ex caserma di primo Novecento restaurata in chiave avveniristica e trasformata in museo della pace dove si mostra la guerra per educare a non combattere più.
Mille storie si
intrecciano convergendo oggi in un unico punto di fuga: in via Cumano
22, a Trieste, dove l'ex caserma «Duca delle Puglie» è divenuta,
quasi per ossimoro, il «Museo della guerra per la pace, Diego de
Henriquez».
Nel 2012, il Comune di
Trieste ha restaurato gli hangar per carri armati della caserma,
coprendoli esternamente con una struttura modernissima che se
all'esterno snatura il vecchio complesso, nulla toglie all'interno di
ciò che c'era: a cominciare dalle scritte sui muri con le
indicazioni ai militari su come mantenere spazi e mezzi. Gli hangar
oggi ospitano la prima parte di un museo che richiederà ancora tempo
per essere completato e che vuole raccontare le guerre del Novecento
non con un approccio nazionalistico, ma con l'obiettivo di far
comprendere che la guerra non è mai stata un buon modo per risolvere
i problemi internazionali.
Era lo scopo del de
Henriquez e la storia delle sue raccolte inizia con lui. Uomo di
cultura, appassionato di archeologia, nel 1941, da militare,
colleziona salvacondotti, documenti, materiali bellici e divise della
guerra che sta combattendo,
alla caserma di San Pietro del Carso. Dopo l’8 settembre, temendo
che i tedeschi vogliano mettere le mani sul suo piccolo museo, con
diversi viaggi su rotaia trasporta tutto dapprima a Trieste, a villa
Basevi, poi sul colle di San Vito. Intesse buoni rapporti con tutti:
passati i tedeschi, diventa il «compagno direttore del museo» per i
Titini; gli Alleati gli accordano permessi speciali per recuperare
beni militari e così gli italiani dal 1954.
Abilità diplomatica e
ruolo eminente nella vita culturale della città (e molto denaro)
sono il suo lasciapassare per continuare a raccogliere testimonianze
della storia, mentre la storia è ancora in corso. E quando la
diplomazia non basta più, de Henriquez dilapida il suo patrimonio,
finendo in ristrettezze e vivendo in uno dei suoi tanti magazzini
sparsi per la città nei quali ha stipato 15.000 oggetti
inventariati, di cui 2.800 armi, bocche da fuoco, carri armati e
pezzi rari: un carro funebre come quello usato per trasportare per
Trieste il feretro dell'arciduca Francesco Ferdinando (assassinato a
Sarajevo il 28 giugno del 1914); un cannone tedesco fatto venire da
Monte Cassino; la documentazione recuperata a Pola delle
fortificazioni distrutte della città. E ancora 24.000 fotografie,
287 diari e 12.000 libri; 2.600 manifesti e volantini, 500 stampe e
470 carte geografiche e topografiche; 30 fondi archivistici; 290
documenti musicali e 150 quadri; 50 casse di giocattoli; 250
pellicole e documenti cinematografici.
Coverà per sempre l'idea
di un museo, virando da una propensione per la raccolta militare alla
visione ecumenica di creare un sito di pace raccontando la guerra
attraverso i materiali bellici. Non un museo di guerra, dunque, ma
della società del Novecento in conflitto con i propri orrori, nel
lungo e contrastato cammino verso una pace duratura.
Per anni, le istituzioni
gli promettono aiuto per il suo progetto. Ma gli impegni sono
disattesi. Finché il 2 maggio
1974, de Henriquez muore carbonizzato nel misterioso incendio
del magazzino di via San
Maurizio, adibito a museo e dove vive da tempo dormendo in una
bara-letto.
Le collezioni, gestite
fino al 1988 da un Consorzio fondato dal Comune di Trieste, sono
acquistate dalla città definitivamente nei primi anni Novanta per
550 milioni di lire e inserite nel '97 nei Civici musei di Storia e
arte.
Oggi, a quarant'anni
dalla morte del de Henriquez, col nuovo «Museo della guerra per la
pace», il cui progetto scientifico è dello storico Lucio Fabi,
Trieste salda il debito con quest'uomo appassionato e bizzarro
custodendone l'immenso patrimonio lasciato alla collettività e
veicolandone il suo messaggio: le strisce colorate nel simbolo del
museo e nella parete in bella vista all'ingresso, da un'idea di
Francesco Messina, richiamano – pur utilizzando colori diversi –
la bandiera della pace.
Si visita, per ora, solo
l'esposizione permanente dedicata alla Grande Guerra: «1914-1918, il
funerale della pace» che apre proprio col carro funebre. Cannoni,
anche enormi, e cimeli introvabili sono accompagnati da pannelli
informativi, cartine e fotografie, manifesti di propaganda, che
raccontano le mille facce del conflitto anche attraverso le vite dei
soldati in trincea. Il soppalco è dedicato alla storia di Trieste,
prima e dopo la Grande guerra, intrecciata con quella del de
Henriquez giovane camicia nera, soldato d’Italia e accanito
collezionista dalla fine oscura e misteriosa. La cronologia delle
guerre del ‘900, infine, porta alla sala della guerra come gioco
con soldatini e giocattoli a tema bellico.
Ma è solo l'inizio: ci
sono altre collezioni da rispolverare e un complesso dopoguerra e un
secondo conflitto mondiale da raccontare.
Maria Vittoria Adami
Da L'Arena, 20 dicembre 2015
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