La ferocia
gli negò il sepolcro, ma non la gloria degli eroi. Lo si legge sulla
lapide di piazzetta Martiri della libertà a Verona, vicino al teatro
Romano, dove il rumore dell'Adige accompagna il ricordo di chi può
essere, senz'ombra di dubbio e di retorica, ritenuto simbolo di una
società migliore. È il ricordo del colonnello degli alpini Giovanni
Fincato che nel mese di ottobre viene ricordato per la sua nascita,
il 3 del mese del 1891, e per il tragico martirio che pose fine alla
sua vita il 6 ottobre del 1944,
per mano di italiani dell'ufficio di polizia fascista
di Verona che lasciarono una vedova e sei figli piccoli a portare nel
nome l'onore di questa grande figura.
Le tragiche
vicende che insanguinarono le acque dell'Adige (il suo corpo fu
gettato a Pescantina nel fiume scaligero che non lo restituì, quasi
a custodire in eterno ciò che l'umanità non seppe difendere) furono
un rito antropofago: i fascisti catturarono e torturarono per 16 ore
un pluridecorato della Grande guerra sul mito della quale proprio il
Ventennio fascista aveva costruito la retorica e i valori di eroismo
e virtù. Fincato, durante quell'«interrogatorio» non svelò nulla,
onorando fino alla fine i principi forgiati in lui dalle trincee del
primo conflitto mondiale: l'onestà, la solidarietà, la fratellanza,
tipiche del corpo degli Alpini, e quel vedere i tedeschi in casa come
il nemico che trent'anni prima aveva combattuto per la definizione
dei confini della Patria. Perché la storia di Fincato, cui Verona ha
dedicato la lunga via che porta verso la Lessinia e che centinaia di
soldati percorsero a piedi verso Podestaria dal 1915, comincia
proprio con la Grande guerra e salda in una sola esistenza i maggiori
eventi di primo Novecento.
Conquistò
sul campo ben tre medaglie d'argento al valor militare, dall'Ortigara
al Grappa, procurandosi ferite che non gli impedirono di continuare a
servire il Paese. Intraprese, infatti, la carriera militare che lo
portò a intrecciarsi sempre con Verona: qui fece servizio militare
nel Sesto reggimento Alpini di Verona, lavorò e trovò la morte.
Nato a
Enego,
sull'altipiano di Asiago, da una famiglia modesta, il giovane Fincato
studia grazie all'interessamento del parroco e consegue la maturità
classica nel 1911. Predilige il latino, impara a memoria Virgilio,
sprona i compagni, sostenendoli nella severità della vita di
collegio, come farà poi coi commilitoni durante il servizio militare
e, da ufficiale, coi suoi soldati in trincea.
È il 1914
quando il sergente viene richiamato alle armi. Dopo alcuni corsi
accelerati, incalzati da una guerra ormai alle porte, nel 1915 è
assegnato, come sottotenente, al battaglione «Sette Comuni». Il
battesimo del fuoco è per lui l'Alto Isonzo soggetto ai forti
assalti austriaci. Nella primavera del 1916, però, con la
Strafexpedition, l'Austria sugli altipiani vicentini tenta un
ingresso nella pianura veneta alle spalle del Carso. Il progetto è
bloccato sul monte Cengio, ma il fronte resta caldo. Fincato, col suo
reparto, è tra malga Fossetta
e la piana di Marcesina,
e partecipa all'offensiva
per il possesso, che poi non andrà a buon fine, del monte Ortigara,
tra il 16 e il 17 giugno. Seppur ferito, rimane in linea, e guida i
suoi uomini alla conquista di una trincea nemica con due
mitragliatrici su un costone a Buso Crepaccio. Arriva così la prima
medaglia d'argento al valor militare. Ma con quella battaglia si apre
un fronte che l'anno successivo sarà il Carso degli alpini. È
ancora giugno, del 1917. Il giorno 10, alle 17, comincia la battaglia
dell'Ortigara, sotto i peggiori auspici. Le condizioni climatiche
sono pessime. Il maltempo si accompagna alla nebbia. Una mina,
posizionata per sorprendere gli austriaci, esplode per errore,
facendo strage di italiani. Poi la battaglia. I combattimenti si
susseguono, aspri; frantumano le rocce; mietono vite: escono
battaglioni e tornano barelle, scriverà Paolo Monelli nel suo «Le
scarpe al sole», descrivendo minuziosamente gli avvenimenti che si
susseguono su quella pietraia tondeggiante dove oggi campeggia, per
monumento, una colonna mozzata e la scritta «Per non dimenticare».
Il
19 giugno gli Alpini, con
50 minuti di assalto, mettono piede sulla cima del monte. Sul petto
di Fincato, al comando della 145ma compagnia, viene appuntata la
seconda medaglia. E arriva anche la convalescenza a Verona per le
ferite riportate. Ma sono i giorni in cui gli austriaci guadagnano
Plezzo e Tolmino. Fincato vuole tornare in prima linea, coi suoi
uomini. È assegnato al battaglione «Monte
Pelmo», del 7mo reggimento Alpini, e
nell'autunno del 1918 è al Col
del Cuc per partecipare
all'offensiva nel settore del Grappa. È di nuovo sulla linea del
fuoco e le perdite sono ingenti. E si guadagna la terza medaglia
d'argento.
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