Che dire? Quando la Sava ammiccante per il sole del tardo pomeriggio, coi suoi barconi adagiati sulle acque
quiete, mi ha dato il benvenuto, mi sono sentita a casa. Non c'è
niente di accogliente alla frontiera di Slavonski Brod, col
suo asfalto a balze, raggrinzito come un tessuto dal passaggio dei
tir, e quei primi cinquanta chilometri di colline e case sventrate e
abbandonate, che aspettano chi fa ingresso in Bosnia. Eppure i
luccichini accecanti del fiume che ti sfiorano la faccia e i pochi
minuti di attesa alla frontiera, quando solo il frammento di tempo di
un timbro ti separa dalla meta, sono il preludio dell'arrivo in un luogo caro.
La notte a Klokotnica (Doboj Istok) è
stata anticipata dalla cena a base di carne – assente solo nel
dessert – e di pane da čevapčiči
che mangerei a quintalate. Ho salutato Lejla, Samra ed Emir che ho
rivisto volentieri. A mezzogiorno ero già a Sarajevo (955 km).
Ad accoglierci in campeggio c'era un
cagnolone meticcio nero, che assomiglia tanto alla nostra Mora. L'ho
chiamata così e ha iniziato a seguirci scodinzolando. Si accoccola
fuori dal camper e fa da guardia. Quando non ci siamo ci aspetta.
Ovunque andiamo ci scorta. Ieri sera ho scoperto che si chiama
Gara...
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