18 maggio 2020

Raccontare la follia

Sulla nevrosi di guerra, ma anche sui preziosi scrigni di storie che sono gli archivi storici, ho scritto un nuovo saggio: «Una finestra sulla Grande Guerra. Soldati e donne al San Giacomo». È pubblicato nel volume miscellaneo a cura del Dipartimento di Culture e civiltà dell’università di Verona. Qui la recensione dell’Arena del primo maggio.

Frugando tra 37.642 cartelle cliniche, dal 1880 agli anni Settanta, rivivono persone sepolte nella memoria del San Giacomo, l’ex manicomio veronese ieri sinonimo di sciagura e vergogna, oggi tassello di storia della città caro a chi ci vive attorno. E riapre un caleidoscopio di finestre sulle vite che da qui sono passate, il volume «Raccontare la follia» a cura di Marina Garbellotti, Emanuela Gamberoni e Silvia Carraro, del dipartimento di Culture e civiltà dell’università di Verona, che hanno composto una task force di studiosi per completare una miscellanea pubblicata da Cierre.
Un’avventura iniziata ben prima, con il progetto di ricerca «L’archivio dell’ospedale psichiatrico San Giacomo alla Tomba: un patrimonio da scoprire», finanziato nel 2017 dall’Università, che si è mosso da un lato sulla mappatura del cospicuo patrimonio documentaristico conservato nell’archivio, oggi nella palazzina della biblioteca di psichiatria del policlinico di Borgo Roma, e composto da 521 registri e cartelle cliniche dall’affascinante contenuto tra diari nosografici, anamnesi, lettere e fotografie. Dall’altra, proprio partendo dal contenuto delle cartelle, il progetto ha aperto un filone di studi interdisciplinari sul concetto di «deviazione» e lo spazio di cura, e ricostruito storia e geografia sociali dei processi di stigmatizzazione e destigmatizzazione di determinate patologie. Ancora, sottolinea la valenza simbolica e fisica per Verona del luogo San Giacomo che, per dirla con le parole di Gamberoni, «è uno dei tasselli sospesi della città che per pregio e per valori chiede di essere riconsiderato».
Il volume è un viaggio nel San Giacomo di ieri e di oggi attraverso prologo, episodi ed epilogo, e che si apre con la prefazione delle tre curatrici proseguendo con il saggio di Vinzia Fiorino «Archivi della sofferenza, archivi di idee» sulle fonti manicomiali e le storie della follia. Si prosegue con le ricerche di Carraro sui contenuti delle cartelle che consentono di ricostruire numeri, esistenze dei ricoverati, diagnosi e fenomeni sociali a esse correlate. Renato Fianco dedica, invece, uno studio ai dozzinanti e alle case di cura per benestanti: «Possidenti e agiati nei manicomi». Apre uno squarcio sul mondo femminile e sui disturbi della maternità di fine Ottocento, Garbellotti con il suo «Madri “folli” e infanticide internate». Maria Vittoria Adami, invece, torna sugli effetti psichiatrici del primo conflitto mondiale sui civili con «Una finestra sulla Grande Guerra. Soldati e donne al San Giacomo». Sullo stesso tema prosegue Marco Bolzonella dedicandosi ai militari italiani della seconda guerra con «Le ferite invisibili». Della realtà distopica fra l’interno del manicomio e la realtà al di fuori si è curata Cristina Lonardi con «Racconti dentro e fuori dal manicomio». Francesco Amaddeo riprende la storia più recente della riforma Basaglia del 1978: «I cambiamenti nell’assistenza psichiatrica a Verona, prima e dopo la legge 180». Conclude Gamberoni con «Il San Giacomo, unica cittadella nella città di ieri... per la città di oggi» con un accenno all’umanità con la quale diverse persone si sono avvicinate al San Giacomo. In particolare Giuseppe Brunetto, giornalista veronese prima per L’Arena, poi per La Stampa, morto a soli 41 anni a Torino nel 1975, non prima di aver lasciato a Verona una toccante eredità: un servizio fotografico scattato negli anni Sessanta al San Giacomo durante il carnevale. Le fotografie dei ricoverati in maschera - che paradossalmente vestono i panni della normalità - e che fanno festa con i medici e con i cittadini entrati per l’occasione, sono state trovate dal figlio, Filippo, caporedattore dell’Arena, che le ha messe a disposizione delle curatrici del volume.
Nato come colonia ergoterapica, perché il lavoro agricolo potesse aiutare i suoi ricoverati, poi pioniere nell’apertura di un atelier artistico dove crebbe l’estro di Carlo Zinelli, esponente dell’Art brut, anche il San Giacomo ha lasciato un’eredità che non va trascurata, pure nelle sue ultime tracce fisiche: il portale d’ingresso e l’antica chiesetta, che versano in gravi condizioni e che devono essere recuperati. Come tenta di suggerire il volume: «Il San Giacomo», spiega Garbellotti, «rappresenta una parte importante della storia e della memoria della città, che merita di essere recuperata anche attraverso lo studio e la valorizzazione del notevole patrimonio documentario prodotto dal manicomio. Studiando queste carte affiora non solo la storia dell’istituzione, ma soprattutto le molte storie delle persone, che a vario titolo lo popolarono nel corso di un secolo. Questo ci consente anche di capire come muta la percezione del folle e della malattia mentale».

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