Sulla nevrosi di guerra, ma anche sui
preziosi scrigni di storie che sono gli archivi storici, ho scritto
un nuovo saggio: «Una finestra sulla Grande Guerra. Soldati e donne
al San Giacomo». È pubblicato nel volume miscellaneo a cura del
Dipartimento di Culture e civiltà dell’università di Verona. Qui la recensione dell’Arena del primo maggio.
Frugando tra 37.642 cartelle cliniche,
dal 1880 agli anni Settanta, rivivono persone sepolte nella memoria
del San Giacomo, l’ex manicomio veronese ieri sinonimo di sciagura
e vergogna, oggi tassello di storia della città caro a chi ci vive
attorno. E riapre un caleidoscopio di finestre sulle vite che da qui
sono passate, il volume «Raccontare la follia» a cura di Marina
Garbellotti, Emanuela Gamberoni e Silvia Carraro, del dipartimento di
Culture e civiltà dell’università di Verona, che hanno composto
una task force di studiosi per completare una miscellanea pubblicata
da Cierre.
Un’avventura iniziata ben prima, con il progetto di
ricerca «L’archivio dell’ospedale psichiatrico San Giacomo alla
Tomba: un patrimonio da scoprire», finanziato nel 2017
dall’Università, che si è mosso da un lato sulla mappatura del
cospicuo patrimonio documentaristico conservato nell’archivio, oggi
nella palazzina della biblioteca di psichiatria del policlinico di
Borgo Roma, e composto da 521 registri e cartelle cliniche
dall’affascinante contenuto tra diari nosografici, anamnesi,
lettere e fotografie. Dall’altra, proprio partendo dal contenuto
delle cartelle, il progetto ha aperto un filone di studi
interdisciplinari sul concetto di «deviazione» e lo spazio di cura,
e ricostruito storia e geografia sociali dei processi di
stigmatizzazione e destigmatizzazione di determinate patologie.
Ancora, sottolinea la valenza simbolica e fisica per Verona del luogo
San Giacomo che, per dirla con le parole di Gamberoni, «è uno dei
tasselli sospesi della città che per pregio e per valori chiede di
essere riconsiderato».
Il volume è un viaggio nel San Giacomo
di ieri e di oggi attraverso prologo, episodi ed epilogo, e che si
apre con la prefazione delle tre curatrici proseguendo con il saggio
di Vinzia Fiorino «Archivi della sofferenza, archivi di idee» sulle
fonti manicomiali e le storie della follia. Si prosegue con le
ricerche di Carraro sui contenuti delle cartelle che consentono di
ricostruire numeri, esistenze dei ricoverati, diagnosi e fenomeni
sociali a esse correlate. Renato Fianco dedica, invece, uno studio ai
dozzinanti e alle case di cura per benestanti: «Possidenti e agiati
nei manicomi». Apre uno squarcio sul mondo femminile e sui disturbi
della maternità di fine Ottocento, Garbellotti con il suo «Madri
“folli” e infanticide internate». Maria Vittoria Adami, invece,
torna sugli effetti psichiatrici del primo conflitto mondiale sui
civili con «Una finestra sulla Grande Guerra. Soldati e donne al San
Giacomo». Sullo stesso tema prosegue Marco Bolzonella dedicandosi ai
militari italiani della seconda guerra con «Le ferite invisibili».
Della realtà distopica fra l’interno del manicomio e la realtà al
di fuori si è curata Cristina Lonardi con «Racconti dentro e fuori
dal manicomio». Francesco Amaddeo riprende la storia più recente
della riforma Basaglia del 1978: «I cambiamenti nell’assistenza
psichiatrica a Verona, prima e dopo la legge 180». Conclude
Gamberoni con «Il San Giacomo, unica cittadella nella città di
ieri... per la città di oggi» con un accenno all’umanità con la
quale diverse persone si sono avvicinate al San Giacomo. In
particolare Giuseppe Brunetto, giornalista veronese prima per
L’Arena, poi per La Stampa, morto a soli 41 anni a Torino nel 1975,
non prima di aver lasciato a Verona una toccante eredità: un
servizio fotografico scattato negli anni Sessanta al San Giacomo
durante il carnevale. Le fotografie dei ricoverati in maschera - che
paradossalmente vestono i panni della normalità - e che fanno festa
con i medici e con i cittadini entrati per l’occasione, sono state
trovate dal figlio, Filippo, caporedattore dell’Arena, che le ha
messe a disposizione delle curatrici del volume.
Nato come colonia ergoterapica, perché
il lavoro agricolo potesse aiutare i suoi ricoverati, poi pioniere
nell’apertura di un atelier artistico dove crebbe l’estro di
Carlo Zinelli, esponente dell’Art brut, anche il San Giacomo ha
lasciato un’eredità che non va trascurata, pure nelle sue ultime
tracce fisiche: il portale d’ingresso e l’antica chiesetta, che
versano in gravi condizioni e che devono essere recuperati. Come
tenta di suggerire il volume: «Il San Giacomo», spiega Garbellotti,
«rappresenta una parte importante della storia e della memoria della
città, che merita di essere recuperata anche attraverso lo studio e
la valorizzazione del notevole patrimonio documentario prodotto dal
manicomio. Studiando queste carte affiora non solo la storia
dell’istituzione, ma soprattutto le molte storie delle persone, che
a vario titolo lo popolarono nel corso di un secolo. Questo ci
consente anche di capire come muta la percezione del folle e della
malattia mentale».
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