12 febbraio 2016

L'Aquila, tra gru e avvoltoi

Poco distante dagli zampilli d'acqua che convergono fluttuando nella fontana delle 99 cannelle, simbolo dell'unità cui aspira a tornare la città, e oltre la chiesolina di San Vito, del Borgo Rivera, l'ex Mattatoio degli anni Trenta ha trovato una nuova funzione: è il Museo nazionale d'Abruzzo (Munda), inaugurato a Natale dal ministro alla Cultura Dario Franceschini e visitato da tremila persone in sette giorni.
Nell'edificio di archeologia industriale, oggi restaurato e antisismico, splendono le madonne lignee del XII secolo e le pale di Francesco da Montereale e Saturnino Gatti, con i reperti delle necropoli abruzzesi dell'ottavo secolo a.C.
Centoventi opere in tutto, molte salvate – seppur danneggiate – dalle macerie o trasferite dal museo della Fortezza spagnola tuttora in restauro. L'Aquila ricomincia da qui. 
Il Munda e dietro le gru di L'Aquila
Rinasce, seppur a fatica, dai luoghi della sua identità: la piazza delle 99 cannelle, la basilica di Santa Maria di Collemaggio o la chiesa di San Bernardino che nel loro splendore ritrovato si ergono gonfie d'orgoglio nella foresta di gru che tuttora avvolge la città ferita, stravolta dal terremoto del 6 aprile del 2009.
C'è odore di cantiere, polvere e calce, per le strade del centro che sono ancora – per la maggior parte – gallerie di tubi e imbragature avvinghiate agli edifici. Le porte aperte delle case lasciano scorgere i mobili, le tende alle finestre, il filo per il bucato, i lampadari al soffitto e i letti sconquassati, a immortalare l'attimo fatale in cui persero la vita 309 persone.
È tutto come allora, come se non fossero passati sette anni. 


C'è poco da visitare tra le quasi cento chiese in stile aquilano, con la facciata quadrangolare e il rosone centrale, ancorate a terra con l'impalcatura e all'ombra non dei campanili, ma delle loro gru. Per le strade, un tempo pullulanti di studenti universitari e ora avvolte dal buio di notte, i rumori di martelli pneumatici hanno sostituito il trantran di auto e corriere. Il caffè liberty Fratelli Nurzia, riaperto dopo soli nove mesi dal terremoto (come indica il fiero cartello sopra le mensole dei torroni al cioccolato), è imbrigliato dai tubi innocenti. Come lo sono gli edifici del centro, l'università, la scuola elementare, la piazza dove una scritta sul muro grida: «Daje L'Aquila!».

Eppure mai come ora in questa città c'è bisogno di visitatori. Il turista fa del bene solo prendendo un caffè al bar o comprando, come souvenir, una busta di zafferano alla bottega di gastronomia. Riceverà, come ringraziamento, il saluto dei passanti che non mancano di raccontare del terremoto a chi fa visita a L'Aquila. «Grazie per essere qui, per noi è importante», dice il ristoratore di una locanda del centro rimasta in piedi dopo il terremoto, ma riaperta due anni e mezzo dopo perché senza allacciamenti di acqua, luce e gas. Chi da subito ha voluto rialzarsi ha incontrato una strada in salita tracciata non solo dal terremoto, ma dalla burocrazia lenta e dalla malavita che in L'Aquila ha visto una gallina dalle uova d'oro: appalti, cantieri, finanziamenti. «La città era in una campana di vetro, si era al sicuro, all'improvviso siamo diventati un obiettivo del malaffare», racconta una giovane donna che ha ricominciato aprendo un B&B nella zona rossa, in una «ex» via centrale oggi dimenticata e deserta. Il suo è stato un moto d'orgoglio, una reazione, «un modo per tenerci occupati e incontrare tante persone e parlare di ciò che è accaduto».
Riassume la storia di questi sette anni, un graffito sul muro di una casa davanti alle macerie di un'altra: una grande aquila caduta al suolo, in frantumi, è accerchiata da chi le ruba i pezzi, mentre un avvoltoio guarda la scena con una valigia di soldi. «Dopo il terremoto sono arrivati gli avvoltoi e si sono rubati tutto», racconta un anziano spiegando il murale. Ogni giorno passa di lì: il cumulo di macerie era la sua casa. Si fa il segno della croce davanti a un mazzolino di fiori sintetici sbiaditi dal tempo. «Lì è morta mia sorella», gira attorno al perimetro e poi se ne va nella sua nuova casa, a Borgo Rivera.


Santa Maria di Collemaggio
















L'onda di riscatto è partita tardi: solo da un anno e mezzo si vedono risultati. Si ricostruisce partendo dalle fondamenta e sistemando la facciata, per eliminare le impalcature: «Hanno un effetto cupo per noi che le vediamo tutti i giorni. I ruderi della casa dello studente, ad esempio, vanno trasformati in memoriale, vederli così non aiuta», conclude la giovane del B&B.
Ma la città racconta anche storie belle. L'Aquila che si rialza col concorso di tutti: il Veneto finanzia il restauro della chiesa di San Marco, nei pressi della prefettura dove il celebre cornicione con la scritta «Palazzo del Governo» è stato raddrizzato; l'Eni ridona prestigio a Collemaggio; interventi di recupero sono finanziati da province, enti e associazioni italiani ed esteri: il Governo russo ha adottato il settecentesco palazzo Ardinghelli in piazza Santa Maria Paganica. E c'è un aiuto, infine, che tutti gli italiani possono dare: visitare L'Aquila!

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