30 luglio 2013

Lejla e la guerra


Dormo in una grande stanza col tetto spiovente, nella comunità Emmaus di Leptir. Le temperature si sono abbassate di colpo. Lancio l'ultimo sguardo al prato col covone di paglia che vedo dalla finestra: un quadro bucolico. Ma il sottofondo musicale è quello del muezzin. L'ultima volta che l'ho sentito è stato in una camera che si affacciava a uno dei polverosi von di Cotonou, in Benin. E ancora sorrido di questo contrasto geografico.
C'è ramadan in questi giorni. È il 9 luglio. Alcuni nostri compagni di tavola hanno atteso il tramonto del sole per iniziare a mangiare. Lejla no. Dice che, d'estate, non mangiare per tutto il giorno può anche andarle bene, ma non ce la fa a non bere. Lejla ha 24 anni; indossa un camicione color ottanio portato sui leggings neri, come vuole la moda oggi, e le ballerine pendant. Mi stringe forte la mano quando ci presentiamo. E si siede a cena quasi di fronte a me. Ha un bel caratterino grintoso e mi racconta un sacco di cose interessanti.

E dalle sue parole, ecco di nuovo uscire l'ossimoro della Bosnia. «Quando c'era la guerra...» racconta a tavola, spiegando che suo padre è sopravvissuto ai combattimenti ed era soldato sui monti vicino a casa, negli anni Novanta.
«Quando c'era la guerra» è una frase che suona come uno schiaffo uscita da quel volto senza rughe e la voce squillante. Dalle nostre parti lo dicono solo i nonni che sono stati al fronte settant'anni fa.
La sua storia esce, pian piano, quando le chiedo dove ha imparato a parlare l'italiano così bene. «In Italia», mi dice. Mi racconta di quando, ancora piccolissima, scappò dalla Bosnia con la madre, finendo in un centro della Croce rossa a Jesolo. Era il 1992. La meta, in realtà, era la Slovenia: «Là c'era una cugina che ci avrebbe ospitato».

Madre e figlia, di neppure tre anni, salirono su un treno. C'era anche una zia con due cugini. «Ma arrivati in Slovenia non ci fecero scendere», mi dice. Potevano farlo solo quelli che dimostravano di avere parenti in grado di ospitarli. «Ma quel giorno, la cugina di mia madre era in un'altra città e non poté venire alla stazione a prenderci. Il treno restò fermo un'ora, lasciò scendere chi aveva un parente. Poi ripartì verso l'Italia. Noi a bordo». Il viaggio di Lejla si concluse così a Jesolo, in un edificio della Croce rossa. «Era fatto come una scuola. In una stanza abbiamo vissuto per un paio d'anni io, mia mamma, mia zia e i miei cugini. Stretti stretti. Ma sono stata bene. Non ci mancava niente. E lì ho imparato l'italiano».

Nel 1995 il padre di Lejla chiese alla madre di tornare. Sentiva la loro mancanza e voleva vedere la figlia. Così la piccola famigliola si ricongiunse. Pochi mesi dopo, la guerra sarebbe finita.
«Quando arrivai, non avevo ricordi della Bosnia e non ci volevo vivere. Ero abituata all'Italia. Qui la mia casa era rimasta in piedi, ma mancava tutto. Il bagno consisteva in un buco per terra. Non ne volevo sapere. Piangevo e volevo tornare in Italia». Lejla non voleva neppure il padre al suo fianco. Era cresciuta in quel lasso di tempo e per lei quell'uomo vestito da soldato era uno sconosciuto. «Quando si avvicinava a mia madre lo allontanavo. Vai a spiegarti il perché e come ragiona la mente di un bambino!», ride. «Io non ricordo, ma me lo racconta spesso mia madre. Non ero abituata a vederlo. Dicevo a mamma di preparargli la Pitta, perché sapevo che quando la preparava era il momento per lui di tornare al fronte. Chissà cosa mi passava per la testa. Mi ci è voluto del tempo per abituarmi a quella nuova situazione».

Lejla ha un fratello minore, nato molto tempo dopo, che oggi ha 12 anni. Porta la sua foto in un cuoricino d'oro che tiene al collo.
Le ricordo che sa molto bene l'italiano e non possono essere stati solo pochi anni in Italia. Ed ecco la magia della televisione. Mi racconta che quando tornò, con la parabolica, prendeva le reti italiane alla TV. «Ci passavo le mattinate davanti. Guardavo programmi italiani, film e telenovele. E oggi, grazie all'italiano, ho un lavoro».

Nessun commento:

Posta un commento

"Ogni scelta è una rinuncia", appuntamenti di febbraio, marzo e aprile

Ciao! Nei prossimi mesi facciamo il giro della provincia con  Ogni scelta è una rinuncia. Storia di Lucia Nutrimento (1911-1959) insegnante,...