Dormo in una grande stanza col tetto
spiovente, nella comunità Emmaus di Leptir. Le temperature si sono
abbassate di colpo. Lancio l'ultimo sguardo al prato col covone di
paglia che vedo dalla finestra: un quadro bucolico. Ma il sottofondo
musicale è quello del muezzin. L'ultima volta che l'ho sentito è
stato in una camera che si affacciava a uno dei polverosi von di
Cotonou, in Benin. E ancora sorrido di questo contrasto geografico.
C'è ramadan in questi giorni. È il 9
luglio. Alcuni nostri compagni di tavola hanno atteso il tramonto del
sole per iniziare a mangiare. Lejla no. Dice che, d'estate, non
mangiare per tutto il giorno può anche andarle bene, ma non ce la fa a non bere. Lejla ha 24 anni; indossa un camicione color
ottanio portato sui leggings neri, come vuole la moda oggi, e le
ballerine pendant. Mi stringe forte la mano quando ci presentiamo. E
si siede a cena quasi di fronte a me. Ha un bel caratterino grintoso
e mi racconta un sacco di cose interessanti.