17 ottobre 2021

Jägerstätter nella notte senza stelle

Disse «no». No all’Anschluss che avrebbe portato l’Austria verso la deriva nazista. No ai falò iconoclasti accesi sulla democrazia prima e sulla cultura poi. No alla caccia agli ebrei. No alla follia omicida. No al nazismo. Alla domanda interiore “da quale parte devo stare, da quella di Dio o da quella di Hitler?” non trovò zone intermedie in cui posteggiare la risposta. Scelse Dio e morì, decapitato nel carcere di Brandeburgo nell’agosto del 1943. Era Franz Jägerstätter, un contadino di Sankt Radegund, paese dell’Alta Austria nei pressi di Braunau, cittadina natale di Adolf Hitler. Segnato dalla vita come potevano esserlo tutte le esistenze nel buio degli anni Trenta, ma coerente fino alla fine a quella fiammella che accese in lui la moglie cattolica praticante, Franziska Schwaninger: la fiamma della coscienza, che oggi racconta in «Solo contro Hitler. Franz Jägerstätter, il primato della coscienza» (Edizioni Emi) il giornalista Francesco Comina, già autore di «L’uomo che disse no a Hitler, Josef Mayr-Nusser, un eroe solitario».

Ed eroe controcorrente e solitario è anche Jägerstätter. È il 1938 quando si sveglia di soprassalto per un incubo: ha visto un treno nero in una notte d’inverno nella piana ghiacciata della campagna bavarese. «Il treno che porta all’inferno» grida una voce. È un sogno premonitore per Franz, che di lì a pochi mesi, vedrà la Germania invadere l’Austria. Sarà l’unico nel suo paese a votare «No» al referendum del 10 aprile 1938 per l’Anschluss, l’"annessione". «All’inizio questo treno mi risultava misterioso, ma più passava il tempo più si svelava anche il suo significato. E oggi mi sembra che questo quadro non rappresenti altro che il nazionalsocialismo che a quel tempo irrompeva violentemente o si introduceva di soppiatto con tutte le sue articolate strutture», scrive. «Con ciò credo che Dio mi abbia dimostrato con sufficiente chiarezza, attraverso questo sogno, o apparizione, che devo decidermi se essere nazista o cattolico». Vangelo alla mano, Franz matura una decisione radicale: non può professarsi cristiano e aderire al führer dispregiatore della dignità, nemico del cristianesimo, dittatore che annichilisce l’individuo.

Foto nel volume della Emi

A Sankt Radegund il nazionalsocialismo stravolge in poco tempo un’armonia che sembrava immutabile. È una piccola comunità agricola in cui Franz ha una proprietà e lavora la terra mantenendo la moglie, che ha sposato nel 1936, e le tre figlie. È Franziska, figlia di cattolici praticanti animati da spiritualità francescana, la sua ispiratrice che gli fa ritrovare la fede cristiana. Lo risveglia dal sonno della coscienza facendolo scendere dal treno funesto e aiutandolo - con le loro chiacchierate e negli studi del vangelo - a chiarire che l’ultima speranza di salvezza e di integrità è dire un secco No all’idolatria nazista che si sta insinuando in ogni piega della vita sociale e sta per smantellare anche una chiesa che, in Austria, resta funambola su posizioni ambigue. Franz avrà in Franziska un’intrepida complice, anche quando, davanti a morte certa, si rifiuterà di arruolarsi: non può servire due padroni, l’uno irriducibile all’altro. Franz sceglie il Dio della pace non uno Stato omicida che sta incendiando l’intera Europa.

Jägerstätter è dipinto da Comina come un araldo della libertà di coscienza, cristiano mite ma assoluto nello scegliere la verità. Che la chiesa ha tardivamente riconosciuto come canone di fede, beatificandolo nel 2007. Al di là della moglie, in questo cammino, infatti, è solo. Il paese dapprima non lo comprende, poi lo isola per paura o per disprezzo. Anche dalla chiesa, che secondo Jägerstätter ha accettato il compromesso, non ha un aiuto «Anche noi cristiani stiamo cedendo, ci stiamo adattando. Le guide della chiesa non possono perdere l’orientamento perché sennò chi si orienta più in questo tempo oscuro? È una notte senza stelle e non sappiamo quanto ci resterà ancora per il mattino». Non resta che «navigare a vista». «Ma con la consapevolezza della direzione che vogliamo prendere e affidarci al Signore», dice alla moglie nel 1940 pronunciando per la prima volta la parola «widerstand», resistenza: «Dobbiamo resistere in mezzo a queste tenebre» perché l’obbedienza ha un limite. Ce l’ha davanti alle violenze, ai campi di concentramento che iniziano a costellare l’Est, alle richieste di fede a un partito omicida. Resiste, Jägerstätter perché «a nessuna potenza terrena è consentito assoggettare le coscienze». Resiste, anche grazie al sindaco e al parroco del paese, a due chiamate della Wehrmacht alle armi. Ma il 23 febbraio 1943 - il giorno dopo la decapitazione dei ragazzi della Rosa Bianca a Monaco - riceve la terza chiamata. Si presenta manifestando l’intenzione di obiettare. Incarcerato nella prigione militare per gli indagati di Linz, solo lì apprende che non è solo e che altre persone hanno rifiutato il servizio militare opponendo resistenza al nazionalsocialismo. Il 4 maggio è trasferito a Berlino. Non ritirando l’obiezione di coscienza il tribunale di guerra lo condanna a morte per sovversione. Viene ghigliottinato il 9 agosto 1943 nello stesso carcere in cui è stato recluso, prima della deportazione a Flossenburg, il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer.

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