6 agosto 2018

Isolina Canuti, uccisa, vilipesa e sepolta senza giustizia

di Maria Vittoria Adami
«L'Arena», domenica 22 agosto 

Le carte dove le metti stanno. Finché qualcuno non le va a cercare, aprendo storie cristallizzate che riprendono da dove si erano fermate. Accade ogni giorno negli archivi come quello di Stato di Verona dove è andato a frugare, sulle tracce di Isolina Canuti, l'avvocato Guariente Guarienti, con l'aiuto del direttore Roberto Mazzei, riportando alla luce la sentenza del processo Todeschini del 30 dicembre 1901: è il testo con il quale il direttore responsabile di Verona del popolo, l'avvocato e deputato Filippo Mario Todeschini, viene condannato a 23 mesi di carcere per diffamazione a danno di Carlo Trivulzio, tenente del sesto alpini, di benestante famiglia udinese, principale indiziato (ma subito assolto) del feroce assassinio di Isolina Canuti morta soffocata, mentre si tentava di procurarle un aborto, fatta a pezzi e gettata in un sacco nell'Adige.
L'ANTEFATTO La mattina del 16 gennaio 1900 due donne sulla riva del fiume, vicino a ponte Aleardi, rinvengono un fagotto a pelo d'acqua: contiene i pezzi di un corpo di donna senza testa. Clelia Canuti riconoscerà, tra questi, i frammenti del vestito della sorella Isolina, 19 anni, incinta di quattro mesi e scomparsa dalla sera del 14 gennaio, una domenica. L'Italia intera è sconvolta. La stampa reclama unanime che i colpevoli abbiamo il meritato castigo. Il ministro degli interni e della guerra Luigi Pelloux mette in palio una ricompensa di 2.000 lire per chi scova l'assassino. Man mano però che la vicenda si fa chiara, Stato, esercito, magistratura e buona parte dell'opinione pubblica tira i remi in barca.

ISOLINA E TRIVULZIO La ragazza era l'amante del tenente Trivulzio, alloggiato in una stanza della famiglia Canuti, in via Cavour. Si suppone che, rimasta incinta, abbia sperato di convincere il tenente a sposarla. Ma che quest'ultimo, non volendone sapere, prima l'abbia invitata a bere delle «polverine», come si legge nei rapporti della sentenza, e poi abbia assoldato una levatrice perché provveda, col consenso della giovane, a effettuare l'aborto, su un tavolaccio della trattoria «Chiodo», nell'omonimo vicolo. Ma qualcosa va storto. Isolina, ubriacata per farle reggere il dolore, grida. Ci sono più persone attorno a quel tavolo. La trattoria è luogo di incontro di soldati e ufficiali, tra cui Trivulzio e i suoi amici. Qualcuno tappa la bocca a Isolina con un tovagliolo. La sentenza indugia su quegli ultimi istanti raccapriccianti che portano alla morte della ragazza. Trivulzio viene accusato di aver tentato di indurre l'aborto con metodi violenti. Si sospetta anche che, con l'aiuto di commilitoni, abbia deciso di fare a pezzi il corpo facendolo sparire nelle acque dell'Adige. Finisce in carcere agli Scalzi accusato di atti abortivi, omicidio e occultamento di cadavere. È il principale indiziato. Ma è anche un uomo dell'esercito. E questo cambia le cose. Una schiera di testimoni fa quadrato su di lui assicurando che quella sera Trivulzio era altrove e condendo le testimonianze con spiccate lodi sulla dirittura morale dell'uomo. Isolina, invece? La sentenza borghese è presto detta: è una poco di buono che «dà scandalo al vicinato» e «conduce una vita scorretta» al punto che non si sa chi sia il padre del figlio che attende. Il quadro è completo per la “brava gente”. Il tenente è assolto e prelevato dai suoi compagni alla stazione mentre sta per partire in treno diretto dalla madre. La combriccola se ne va a festeggiare al Chiodo, là dove tutto è iniziato.
TODESCHINI SULLE BARRICATE Ma c'è chi si indigna. Dalle pagine del suo giornale Todeschini chiede che il caso sia riaperto. Critica una stampa e una città che difende Trivulzio per ripulire l'esercito da quest'onta. Ne fa una questione politica e sociale attaccando chi parla di lesa maestà a borghesi e all'esercito, a scapito della povera gente. Porta il caso in Parlamento, con un'interrogazione rivolta al ministro. Denuncia pressioni sulle autorità inquirenti da parte di chi «ha interesse a mantenere nel buio la vicenda». Chiede a Pelloux se ha davvero fatto tutto il possibile per non mettere a tacere la vicenda. «Vogliamo procedere sul serio alla punizione dei colpevoli?» scrive nei suoi articoli trascritti per intero nella sentenza del 1901. «Eppure da dove era partita la promessa del premio», accusa Todeschini, «partì anche l'ordine che obbligò al silenzio chi, per proprio ufficio sapeva quanto era sufficiente per procedere con mano sicura all'arresto degli squartatori». Todeschini allude a ordini precisi da parte di prefetture e procure per «continuare sulla commedia indegna» «fuorviando l'opinione pubblica» e instillando il dubbio che «il delitto potesse attribuirsi a persone dei bassi fondi sociali» quando Trivulzio viene arrestato. Ovvero quando «gli assassini più o meno casuali di Isolina apparvero facenti parte della classe che pasteggia in guanti». La battaglia mediatica del giornalista che «vuole un po' di luce» si fa rovente tra l'ottobre e il novembre del 1900, subito dopo l'assoluzione di Trivulzio. A fine dicembre il tenente lo querela due volte.
L'ACCUSA Gli articoli hanno una testatina fissa «Il mistero della Isolina sulla via della verità» e «Il tenente Trivulzio». L'onorevole interroga i ministri sulla condotta della magistratura e dell'autorità militare «specie per le trascuranze dell'istruttoria, le indagini della polizia e le inframettenze militari». Se la prende con Trivulzio, ma anche con l'esercito. «Diamine! Si voleva forse gettar fango su quel glorioso esercito che tante benemerenze aveva – anche in Verona – guadagnato nel tempo della grande inondazione e in tutti i casi di terremoto, incendio?», ironizza Todeschini. Trivulzio è reo, ai suoi occhi, almeno di complicità nel tentativo di procurare l'aborto di Isolina. Il giornalista riporta dialoghi tra testimoni, conoscenti di Isolina e frequentatori della trattoria, dall'oste alle levatrici Policante e De Mori - la prima minacciata da Trivulzio («Col denaro si trova anche ben più di chi si presta a procurare un aborto»), la seconda raggiunta dall'offerta di 300 lire per il compito - fino al farmacista Barbieri. E ancora lettere (ora di Trivulzio dal carcere al suo colonnello ora anonime, trascritte per intero nella sentenza) che incastrerebbero il soldato. Todeschini, anche in «Kepy o cilindro», articolo del 22 novembre 1900, invita a cercare l'assassino nelle sfere borghesi tra chi indossa uno dei due copricapi.

LA CONDANNA Il giornalista inscena persino un processo nei suoi articoli, rivolgendo a Trivulzio domande accusatorie, e approfondisce con perizie dei luoghi, descrivendo per filo e per segno la trattoria con il cortile con il «soco» per tagliare la carne da servire ai clienti; e le stanze al piano di sopra, verso le quali, il 14 gennaio, guarda preoccupato l'oste; e i tovaglioli della locanda uguali a quello trovato nel fagotto sull'Adige. Trivulzio querela Todeschini che viene accusato di diffamazione continuata per aver offeso con «lena affannosa» «ripetutamente la reputazione e il decoro del tenente» cercando con articoli pubblicati periodicamente di «convincere i lettori della corrispondenza delle accuse colla verità dei fatti, come pubblicati». Sulla «romanzesca narrazione di quanto avvenuto al Chiodo» a favore della quale c'è una «assoluta deficienza di prove» il collegio pone una pietra tombale. Todeschini è condannato a 23 mesi e 10 giorni di carcere il 30 dicembre 1901 e a una multa di 1.458 lire. Oltre al pagamento di spese processuali per 5.000 lire con obbligo di pubblicare sul suo giornale (e di far pubblicare sulle principali testate italiane) la sentenza di condanna. L'onore dell'esercito è salvo. Quello di Isolina, vilipeso e sepolto senza giustizia.

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