di Maria Vittoria Adami
«L'Arena», domenica 22 agosto
Le carte dove le metti stanno. Finché
qualcuno non le va a cercare, aprendo storie cristallizzate che
riprendono da dove si erano fermate. Accade ogni giorno negli archivi
come quello di Stato di Verona dove è andato a frugare, sulle tracce
di Isolina Canuti, l'avvocato Guariente Guarienti, con l'aiuto del
direttore Roberto Mazzei,
riportando alla luce la sentenza del processo Todeschini del
30 dicembre 1901: è il testo con il quale il direttore responsabile
di Verona del popolo, l'avvocato e deputato Filippo Mario Todeschini,
viene condannato a 23 mesi di carcere per diffamazione a danno di
Carlo Trivulzio, tenente del sesto alpini, di benestante famiglia
udinese, principale indiziato (ma subito assolto) del feroce
assassinio di Isolina Canuti morta soffocata, mentre si tentava di
procurarle un aborto, fatta a pezzi e gettata in un sacco nell'Adige.
L'ANTEFATTO La mattina del 16 gennaio
1900 due donne sulla riva del fiume, vicino a ponte Aleardi,
rinvengono un fagotto a pelo d'acqua: contiene i pezzi di un corpo di
donna senza testa. Clelia Canuti riconoscerà, tra questi, i
frammenti del vestito della sorella Isolina, 19 anni, incinta di
quattro mesi e scomparsa dalla sera del 14 gennaio, una domenica.
L'Italia intera è sconvolta. La stampa reclama unanime che i
colpevoli abbiamo il meritato castigo. Il ministro degli interni e
della guerra Luigi Pelloux
mette in palio una ricompensa di 2.000 lire per chi scova
l'assassino. Man mano però che la vicenda si fa chiara, Stato,
esercito, magistratura e buona parte dell'opinione pubblica tira i
remi in barca.
ISOLINA E TRIVULZIO La ragazza era
l'amante del tenente Trivulzio, alloggiato in una stanza della
famiglia Canuti, in via Cavour. Si suppone che, rimasta incinta,
abbia sperato di convincere il tenente a sposarla. Ma che
quest'ultimo, non volendone sapere, prima l'abbia invitata a bere
delle «polverine», come si legge nei rapporti della sentenza, e poi
abbia assoldato una levatrice perché provveda, col consenso della
giovane, a effettuare l'aborto, su un tavolaccio della trattoria
«Chiodo», nell'omonimo vicolo. Ma qualcosa va storto. Isolina,
ubriacata per farle reggere il dolore, grida. Ci sono più persone
attorno a quel tavolo. La trattoria è luogo di incontro di soldati e
ufficiali, tra cui Trivulzio e i suoi amici. Qualcuno tappa la bocca
a Isolina con un tovagliolo. La sentenza indugia su quegli ultimi
istanti raccapriccianti che portano alla morte della ragazza.
Trivulzio viene accusato di aver tentato di indurre l'aborto con
metodi violenti. Si sospetta anche che, con l'aiuto di commilitoni,
abbia deciso di fare a pezzi il corpo facendolo sparire nelle acque
dell'Adige. Finisce in carcere agli Scalzi accusato di atti abortivi,
omicidio e occultamento di cadavere. È il principale indiziato. Ma è
anche un uomo dell'esercito. E questo cambia le cose. Una schiera di
testimoni fa quadrato su di lui assicurando che quella sera Trivulzio
era altrove e condendo le testimonianze con spiccate lodi sulla
dirittura morale dell'uomo. Isolina, invece? La sentenza borghese è
presto detta: è una poco di buono che «dà scandalo al vicinato» e
«conduce una vita scorretta» al punto che non si sa chi sia il
padre del figlio che attende. Il quadro è completo per la “brava
gente”. Il tenente è assolto e prelevato dai suoi compagni alla
stazione mentre sta per partire in treno diretto dalla madre. La
combriccola se ne va a festeggiare al Chiodo, là dove tutto è
iniziato.
TODESCHINI SULLE BARRICATE Ma c'è chi
si indigna. Dalle pagine del suo giornale Todeschini chiede che il
caso sia riaperto. Critica una stampa e una città che difende
Trivulzio per ripulire l'esercito da quest'onta. Ne fa una questione
politica e sociale attaccando chi parla di lesa maestà a borghesi e
all'esercito, a scapito della povera gente. Porta il caso in
Parlamento, con un'interrogazione rivolta al ministro. Denuncia
pressioni sulle autorità inquirenti da parte di chi «ha interesse a
mantenere nel buio la vicenda». Chiede a Pelloux se ha davvero fatto
tutto il possibile per non mettere a tacere la vicenda. «Vogliamo
procedere sul serio alla punizione dei colpevoli?» scrive nei suoi
articoli trascritti per intero nella sentenza del 1901. «Eppure da
dove era partita la promessa del premio», accusa Todeschini, «partì
anche l'ordine che obbligò al silenzio chi, per proprio ufficio
sapeva quanto era sufficiente per procedere con mano sicura
all'arresto degli squartatori». Todeschini allude a ordini precisi
da parte di prefetture e procure per «continuare sulla commedia
indegna» «fuorviando l'opinione pubblica» e instillando il dubbio
che «il delitto potesse attribuirsi a persone dei bassi fondi
sociali» quando Trivulzio viene arrestato. Ovvero quando «gli
assassini più o meno casuali di Isolina apparvero facenti parte
della classe che pasteggia in guanti». La battaglia mediatica del
giornalista che «vuole un po' di luce» si fa rovente tra l'ottobre
e il novembre del 1900, subito dopo l'assoluzione di Trivulzio. A
fine dicembre il tenente lo querela due volte.
L'ACCUSA Gli articoli hanno una
testatina fissa «Il mistero della Isolina sulla via della verità»
e «Il tenente Trivulzio». L'onorevole interroga i ministri sulla
condotta della magistratura e dell'autorità militare «specie per le
trascuranze dell'istruttoria, le indagini della polizia e le
inframettenze militari». Se la prende con Trivulzio, ma anche con
l'esercito. «Diamine! Si voleva forse gettar fango su quel glorioso
esercito che tante benemerenze aveva – anche in Verona –
guadagnato nel tempo della grande inondazione e in tutti i casi di
terremoto, incendio?», ironizza Todeschini. Trivulzio è reo, ai
suoi occhi, almeno di complicità nel tentativo di procurare l'aborto
di Isolina. Il giornalista riporta dialoghi tra testimoni, conoscenti
di Isolina e frequentatori della trattoria, dall'oste alle levatrici
Policante e De Mori - la prima minacciata da Trivulzio («Col denaro
si trova anche ben più di chi si presta a procurare un aborto»), la
seconda raggiunta dall'offerta di 300 lire per il compito - fino al
farmacista Barbieri. E ancora lettere (ora di Trivulzio dal carcere
al suo colonnello ora anonime, trascritte per intero nella sentenza)
che incastrerebbero il soldato. Todeschini, anche in «Kepy o
cilindro», articolo del 22 novembre 1900, invita a cercare
l'assassino nelle sfere borghesi tra chi indossa uno dei due
copricapi.
LA CONDANNA Il giornalista inscena
persino un processo nei suoi articoli, rivolgendo a Trivulzio domande
accusatorie, e approfondisce con perizie dei luoghi, descrivendo per
filo e per segno la trattoria con il cortile con il «soco» per
tagliare la carne da servire ai clienti; e le stanze al piano di
sopra, verso le quali, il 14 gennaio, guarda preoccupato l'oste; e i
tovaglioli della locanda uguali a quello trovato nel fagotto
sull'Adige. Trivulzio querela Todeschini che viene accusato di
diffamazione continuata per aver offeso con «lena affannosa»
«ripetutamente la reputazione e il decoro del tenente» cercando con
articoli pubblicati periodicamente di «convincere i lettori della
corrispondenza delle accuse colla verità dei fatti, come
pubblicati». Sulla «romanzesca narrazione di quanto avvenuto al
Chiodo» a favore della quale c'è una «assoluta deficienza di
prove» il collegio pone una pietra tombale. Todeschini è condannato
a 23 mesi e 10 giorni di carcere il 30 dicembre 1901 e a una multa di
1.458 lire. Oltre al pagamento di spese processuali per 5.000 lire
con obbligo di pubblicare sul suo giornale (e di far pubblicare sulle
principali testate italiane) la sentenza di condanna. L'onore
dell'esercito è salvo. Quello di Isolina, vilipeso e sepolto senza
giustizia.
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