21 dicembre 2015

A Trieste, il museo della guerra per la pace


Un visionario quanto appassionato collezionista morto tra i suoi pezzi d'antan nel rogo di un magazzino, dove dormiva in una bara; migliaia di documenti, cimeli, cannoni e mezzi militari del Novecento stipati in diversi siti a Trieste e dintorni; un'ex caserma di primo Novecento restaurata in chiave avveniristica e trasformata in museo della pace dove si mostra la guerra per educare a non combattere più.
Mille storie si intrecciano convergendo oggi in un unico punto di fuga: in via Cumano 22, a Trieste, dove l'ex caserma «Duca delle Puglie» è divenuta, quasi per ossimoro, il «Museo della guerra per la pace, Diego de Henriquez».
Tanti tormenti sono qui pacificati: non si sapeva che fare, a Trieste, di quell'antico complesso militare. E non si sapeva da che parte prendere in mano l'immenso patrimonio accumulato nell'arco di una vita, con rocambolesche avventure e trasporti faraonici, da Diego de Henriquez (Trieste, 1909-1974), originale collezionista dall'appassionata volontà di trasmettere ai posteri la storia che, in due guerre mondiali, ha ridisegnato l'Europa e la società.
Nel 2012, il Comune di Trieste ha restaurato gli hangar per carri armati della caserma, coprendoli esternamente con una struttura modernissima che se all'esterno snatura il vecchio complesso, nulla toglie all'interno di ciò che c'era: a cominciare dalle scritte sui muri con le indicazioni ai militari su come mantenere spazi e mezzi. Gli hangar oggi ospitano la prima parte di un museo che richiederà ancora tempo per essere completato e che vuole raccontare le guerre del Novecento non con un approccio nazionalistico, ma con l'obiettivo di far comprendere che la guerra non è mai stata un buon modo per risolvere i problemi internazionali.
Era lo scopo del de Henriquez e la storia delle sue raccolte inizia con lui. Uomo di cultura, appassionato di archeologia, nel 1941, da militare, colleziona salvacondotti, documenti, materiali bellici e divise della guerra che sta combattendo, alla caserma di San Pietro del Carso. Dopo l’8 settembre, temendo che i tedeschi vogliano mettere le mani sul suo piccolo museo, con diversi viaggi su rotaia trasporta tutto dapprima a Trieste, a villa Basevi, poi sul colle di San Vito. Intesse buoni rapporti con tutti: passati i tedeschi, diventa il «compagno direttore del museo» per i Titini; gli Alleati gli accordano permessi speciali per recuperare beni militari e così gli italiani dal 1954.
Abilità diplomatica e ruolo eminente nella vita culturale della città (e molto denaro) sono il suo lasciapassare per continuare a raccogliere testimonianze della storia, mentre la storia è ancora in corso. E quando la diplomazia non basta più, de Henriquez dilapida il suo patrimonio, finendo in ristrettezze e vivendo in uno dei suoi tanti magazzini sparsi per la città nei quali ha stipato 15.000 oggetti inventariati, di cui 2.800 armi, bocche da fuoco, carri armati e pezzi rari: un carro funebre come quello usato per trasportare per Trieste il feretro dell'arciduca Francesco Ferdinando (assassinato a Sarajevo il 28 giugno del 1914); un cannone tedesco fatto venire da Monte Cassino; la documentazione recuperata a Pola delle fortificazioni distrutte della città. E ancora 24.000 fotografie, 287 diari e 12.000 libri; 2.600 manifesti e volantini, 500 stampe e 470 carte geografiche e topografiche; 30 fondi archivistici; 290 documenti musicali e 150 quadri; 50 casse di giocattoli; 250 pellicole e documenti cinematografici.
Coverà per sempre l'idea di un museo, virando da una propensione per la raccolta militare alla visione ecumenica di creare un sito di pace raccontando la guerra attraverso i materiali bellici. Non un museo di guerra, dunque, ma della società del Novecento in conflitto con i propri orrori, nel lungo e contrastato cammino verso una pace duratura.
Per anni, le istituzioni gli promettono aiuto per il suo progetto. Ma gli impegni sono disattesi. Finché il 2 maggio 1974, de Henriquez muore carbonizzato nel misterioso incendio del magazzino di via San Maurizio, adibito a museo e dove vive da tempo dormendo in una bara-letto.
Le collezioni, gestite fino al 1988 da un Consorzio fondato dal Comune di Trieste, sono acquistate dalla città definitivamente nei primi anni Novanta per 550 milioni di lire e inserite nel '97 nei Civici musei di Storia e arte.
Oggi, a quarant'anni dalla morte del de Henriquez, col nuovo «Museo della guerra per la pace», il cui progetto scientifico è dello storico Lucio Fabi, Trieste salda il debito con quest'uomo appassionato e bizzarro custodendone l'immenso patrimonio lasciato alla collettività e veicolandone il suo messaggio: le strisce colorate nel simbolo del museo e nella parete in bella vista all'ingresso, da un'idea di Francesco Messina, richiamano – pur utilizzando colori diversi – la bandiera della pace.
Si visita, per ora, solo l'esposizione permanente dedicata alla Grande Guerra: «1914-1918, il funerale della pace» che apre proprio col carro funebre. Cannoni, anche enormi, e cimeli introvabili sono accompagnati da pannelli informativi, cartine e fotografie, manifesti di propaganda, che raccontano le mille facce del conflitto anche attraverso le vite dei soldati in trincea. Il soppalco è dedicato alla storia di Trieste, prima e dopo la Grande guerra, intrecciata con quella del de Henriquez giovane camicia nera, soldato d’Italia e accanito collezionista dalla fine oscura e misteriosa. La cronologia delle guerre del ‘900, infine, porta alla sala della guerra come gioco con soldatini e giocattoli a tema bellico.
Ma è solo l'inizio: ci sono altre collezioni da rispolverare e un complesso dopoguerra e un secondo conflitto mondiale da raccontare.

Maria Vittoria Adami
Da L'Arena, 20 dicembre 2015

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