Carlo e Giani Stuparich, giovani letterati cresciuti nella Trieste di Saba e Svevo e spiriti irredenti, avevano maturato l'ideale dell'italianità della loro terra studiando a Firenze e frequentando, con Scipio Slataper, gli ambienti letterari de «La Voce» di Prezzolini. Fratelli inseparabili, si arruolarono volontari nell'esercito italiano, nonostante la chiamata alle armi provenisse dall'impero Austroungarico. I primi mesi di combattimenti per loro furono tragici, inviati subito nelle trincee del Carso e sulla Rocca di Monfalcone.
Furono poi nominati ufficiali della Milizia Territoriale. Giani a Vicenza; Carlo a Verona, città dalla quale partì, passando con la sua compagnia per Porta Vescovo, diretto a Bosco Chiesanuova.
Doveva costruire la strada di Podestaria, importante raccordo tra Erbezzo e Bosco Chiesanuova e il sistema difensivo dal Pedocchio a Castelberto.
Giani
sopravvisse, affermandosi poi tra i maggiori letterati del Novecento.
Carlo morì suicida nel
1916, sul monte Cengio, dopo un aspro combattimento e rimasto solo a
difendere una trincea.
Nel 1937,
Giani volle vedere i luoghi nei quali, per breve tempo, aveva vissuto
il fratello. Ne scrisse un articolo, dai toni nostalgici e poetici:
«La strada di Podestaria», pubblicato sulla Stampa.
Il testo è stato raccolto, nell'omonimo volume a cura del
ricercatore universitario Giuseppe Sandrini, con le 18 lettere che
Carlo gli inviò da Podestaria, immortalando i pascoli della Lessinia
su carta, scrivendo chino, con la mantellina sulle spalle e una
valigia per scrittoio.
«Dunque
siamo per ora a Bosco Chiesanuova; guarda sulla carta su a nord di
Verona; ma è probabile che si proseguirà ancor più oltre su
Podestaria (1700m.). I posti sono bellissimi, ma per me melanconici;
ho pigliato un quattro punti di paesaggio magnifici colla mia
macchinetta».

Il 17
settembre Carlo incornicia il paesaggio della Lessinia in pochi
versi: «Poche cose si muovono intorno, due pastori, un po' di vento,
veli di nebbia che camminano... Tutto il resto sta tranquillo e
silenzioso, giù davanti un boschetto di pini circoscritto di
muriccioli bianchi e pare natura carsica, ma gli altri monti tutto
intorno sono d'erba e vi pascolano armente con campanelli... Qua dove
siamo non ci sono che sparsi casolari di pastori e attendamenti;
l'acqua è scarsissima. Il cannone l'odono tutto il giorno, io no
(era sordo per l'otite, ndr). Il nostro battaglione lavora su una
strada e lavora magnificamente; gl'ingegneri e gli altri ufficiali
sono meravigliati...». L'ultima notizia è del 18 settembre: «Parto
da qui a te; la mia domanda è stata accettata». Morirà nel maggio
successivo.
Nella sua
passeggiata, 22 anni dopo, a Giani pare di rivedere il fratello, tra
il verde dei pascoli: «Lo vedevo mentre sorvegliava gli uomini,
ammirato lui stesso della loro capacità e tenacia in quel duro
lavoro; lo vedevo adattarsi con intelligenza a seguire i criteri e le
istruzioni dei suoi colleghi del genio; ora girare fra picconi e
vanghe in moto, ora sedersi sull'erba e meditare: gli scoppi e i fumi
delle granate, i crolli delle trincee carsiche gli dovevano tornare
spesso alla memoria. Intanto la strada nasceva, girava ansando su per
l'erta, vinceva regolare e volitiva l'asprezza caotica del terreno
pietroso, spruzzato di magri pascoli».
Le foto sono del volume «La strada di Podestaria», a cura di Giuseppe Sandrini (Alba Pratalia 2005).
Nessun commento:
Posta un commento