4 ottobre 2013

Francis e Vivien, venuti dal mare. Una storia recente


Le mamme su quelle bagnarole incagliate a Lampedusa e i bimbi piccoli in braccio sono state spesso un punto di domanda per me. Non temevano per i loro figli neonati? La risposta me l'hanno data Francis e Vivien qualche anno fa...

«La gente ci diceva che eravamo matti a partire con un bambino così piccolo: arrivavano nel porto libico barconi pieni di cadaveri. Alle nostre spalle Tripoli in subbuglio. Avevamo morti davanti e morti dietro. Abbiamo deciso di andare avanti, a costo di sacrificarci».


di Maria Vittoria Adami, L'Arena, 28 giugno 2011

Francis e Vivien hanno 34 anni e la pelle dell’Africa nera, ma dicono di venire dalla Libia. Fino a qualche mese fa, infatti, per loro, la patria di Muammar Gheddafi era una terra promessa, scelta nel 2003 quando decisero di lasciare il Ghana, loro Stato d’origine, in cerca di lavoro e tranquillità.
Lo raccontano in un mix di inglese e ashanti, col loro bimbo in braccio, Isac di otto mesi, nato nella tranquillità di Tripoli, dove il papà faceva l’operaio e la mamma l’addetta alle pulizie, quando ancora non c’era la guerra. Ora la famiglia è ospite di Emmaus Villafranca, dove ha trovato alloggio, partecipando al lavoro della comunità. Sono lì dal 28 maggio, dopo l’ultimo viaggio, a bordo dei mezzi della Protezione civile, che li ha condotti da Vicenza a Villafranca.
Francis e Vivien Assare, poco più di un mese fa, hanno lasciato la loro terra promessa, di nuovo in fuga, questa volta dallo stato di insicurezza e incertezza derivante dalla guerra che ha invaso anche le strade di Tripoli. Si sono imbarcati su una bagnarola con altre 450 persone, pagando 1600 dinari libici in due (circa mille euro, ndr). Hanno passato tre giorni e tre notti in mare, fino al «good country», l’Italia, la buona Italia «che soccorre i più deboli, che salva le persone dal mare».
Francis lasciò il Ghana con la moglie nel 2003. Lo Stato oggi è considerato tra i più istituzionalmente equilibrati dell’Africa dell’ovest, ma una decina d’anni fa fu interessato, nelle regioni del nord est, da alcuni conflitti etnici. Una guerra tribale che costò la vita anche al padre di Francis, insieme a molti uomini: «Bambini o adulti, se eri maschio ti ammazzavano», racconta. Ripararono al Nord. «In tutto il sud dell’Africa non c’è lavoro, in Libia sì e qualsiasi luogo sarebbe stato meglio del Ghana». I sette anni a Tripoli sono passati tranquillamente, poi, tre mesi fa, l’effetto domino della crisi degli Stati del nord Africa è giunto anche lì. «Sono iniziati i problemi. Si rischiava di rimanere vittime di rapine in casa e per strada. Ti puntavano il coltello per un telefono. Sono stati tre mesi difficili, non si erano mai verificate cose così prima». A metà maggio la famiglia ha deciso così di partire. «Avevo paura di tornare in Ghana e non avevo più nulla, né famiglia né casa. Così abbiamo preso una barca. La gente ci diceva che eravamo matti a partire con un bambino così piccolo: arrivavano nel porto libico barconi pieni di cadaveri. Alle nostre spalle Tripoli in subbuglio. Avevamo morti davanti e morti dietro. Abbiamo deciso di andare avanti, a costo di sacrificarci. In Libia non avevamo più possibilità né un futuro per nostro figlio». Per tre giorni hanno viaggiato stipati in una barca, senza mangiare, solo bevendo acqua e dando latte al bambino. «Abbiamo pianto per tre giorni e tre notti e pregato», fino a quando da lontano, tra le acque blu del mare siciliano è spuntata Lampedusa e si sono aperti i cancelli del centro di accoglienza, dove sono rimasti per cinque giorni. «Lì sono stati generosi. Ci hanno dato tutto ciò di cui avevamo bisogno: cibo, acqua, cose necessarie al bambino. Le persone hanno avuto cura di noi».
Renzo Fior, presidente di Emmaus Villafranca, aveva segnalato la possibilità di poter ospitare in un piccolo appartamento una donna sola con un bambino. È arrivata tutta la famiglia Assare, per la quale ora la comunità tenta di reperire i documenti. Per loro, infatti, c’è un permesso di sei mesi, per ora; tuttavia probabilmente saranno espulsi. Non sarà facile, infatti, ottenere lo status di rifugiati, poiché il Ghana non è considerato un paese in crisi. «Non vogliamo tornare in Africa», conclude Francis. «Qui siamo liberi e al sicuro e abbiamo dimenticato il passato grazie all’Italia».

Vedi anche la storia di Kassem e Moustafa venuti dalla Somalia.

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