18 novembre 2014

Le tre medaglie del colonnello Fincato


La ferocia gli negò il sepolcro, ma non la gloria degli eroi. Lo si legge sulla lapide di piazzetta Martiri della libertà a Verona, vicino al teatro Romano, dove il rumore dell'Adige accompagna il ricordo di chi può essere, senz'ombra di dubbio e di retorica, ritenuto simbolo di una società migliore. È il ricordo del colonnello degli alpini Giovanni Fincato che nel mese di ottobre viene ricordato per la sua nascita, il 3 del mese del 1891, e per il tragico martirio che pose fine alla sua vita il 6 ottobre del 1944, per mano di italiani dell'ufficio di polizia fascista di Verona che lasciarono una vedova e sei figli piccoli a portare nel nome l'onore di questa grande figura.

Le tragiche vicende che insanguinarono le acque dell'Adige (il suo corpo fu gettato a Pescantina nel fiume scaligero che non lo restituì, quasi a custodire in eterno ciò che l'umanità non seppe difendere) furono un rito antropofago: i fascisti catturarono e torturarono per 16 ore un pluridecorato della Grande guerra sul mito della quale proprio il Ventennio fascista aveva costruito la retorica e i valori di eroismo e virtù. Fincato, durante quell'«interrogatorio» non svelò nulla, onorando fino alla fine i principi forgiati in lui dalle trincee del primo conflitto mondiale: l'onestà, la solidarietà, la fratellanza, tipiche del corpo degli Alpini, e quel vedere i tedeschi in casa come il nemico che trent'anni prima aveva combattuto per la definizione dei confini della Patria. Perché la storia di Fincato, cui Verona ha dedicato la lunga via che porta verso la Lessinia e che centinaia di soldati percorsero a piedi verso Podestaria dal 1915, comincia proprio con la Grande guerra e salda in una sola esistenza i maggiori eventi di primo Novecento.
Conquistò sul campo ben tre medaglie d'argento al valor militare, dall'Ortigara al Grappa, procurandosi ferite che non gli impedirono di continuare a servire il Paese. Intraprese, infatti, la carriera militare che lo portò a intrecciarsi sempre con Verona: qui fece servizio militare nel Sesto reggimento Alpini di Verona, lavorò e trovò la morte.

Nato a Enego, sull'altipiano di Asiago, da una famiglia modesta, il giovane Fincato studia grazie all'interessamento del parroco e consegue la maturità classica nel 1911. Predilige il latino, impara a memoria Virgilio, sprona i compagni, sostenendoli nella severità della vita di collegio, come farà poi coi commilitoni durante il servizio militare e, da ufficiale, coi suoi soldati in trincea.
È il 1914 quando il sergente viene richiamato alle armi. Dopo alcuni corsi accelerati, incalzati da una guerra ormai alle porte, nel 1915 è assegnato, come sottotenente, al battaglione «Sette Comuni». Il battesimo del fuoco è per lui l'Alto Isonzo soggetto ai forti assalti austriaci. Nella primavera del 1916, però, con la Strafexpedition, l'Austria sugli altipiani vicentini tenta un ingresso nella pianura veneta alle spalle del Carso. Il progetto è bloccato sul monte Cengio, ma il fronte resta caldo. Fincato, col suo reparto, è tra malga Fossetta e la piana di Marcesina, e partecipa all'offensiva per il possesso, che poi non andrà a buon fine, del monte Ortigara, tra il 16 e il 17 giugno. Seppur ferito, rimane in linea, e guida i suoi uomini alla conquista di una trincea nemica con due mitragliatrici su un costone a Buso Crepaccio. Arriva così la prima medaglia d'argento al valor militare. Ma con quella battaglia si apre un fronte che l'anno successivo sarà il Carso degli alpini. È ancora giugno, del 1917. Il giorno 10, alle 17, comincia la battaglia dell'Ortigara, sotto i peggiori auspici. Le condizioni climatiche sono pessime. Il maltempo si accompagna alla nebbia. Una mina, posizionata per sorprendere gli austriaci, esplode per errore, facendo strage di italiani. Poi la battaglia. I combattimenti si susseguono, aspri; frantumano le rocce; mietono vite: escono battaglioni e tornano barelle, scriverà Paolo Monelli nel suo «Le scarpe al sole», descrivendo minuziosamente gli avvenimenti che si susseguono su quella pietraia tondeggiante dove oggi campeggia, per monumento, una colonna mozzata e la scritta «Per non dimenticare». Il 19 giugno gli Alpini, con 50 minuti di assalto, mettono piede sulla cima del monte. Sul petto di Fincato, al comando della 145ma compagnia, viene appuntata la seconda medaglia. E arriva anche la convalescenza a Verona per le ferite riportate. Ma sono i giorni in cui gli austriaci guadagnano Plezzo e Tolmino. Fincato vuole tornare in prima linea, coi suoi uomini. È assegnato al battaglione «Monte Pelmo», del 7mo reggimento Alpini, e nell'autunno del 1918 è al Col del Cuc per partecipare all'offensiva nel settore del Grappa. È di nuovo sulla linea del fuoco e le perdite sono ingenti. E si guadagna la terza medaglia d'argento.

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